(a cura di Anna Prandoni)
Anne-Sophie Pic, oltre ad essere l’unica tristellata cheffe* in Francia è anche una persona di un’umanità e umiltà rare: il suo sorriso discreto, la sua voce bassa, i suoi modi educati e la sua naturale ritrosia a svelarsi sono parte del suo essere.
Si è aperta durante un incontro al Castello di Grinzate Cavour, nell’ambito dei dialoghi del gusto, che portano la cucina nei luoghi Unesco, in compagnia di Enrico Crippa, amico di stelle e di fatica, come hanno avuto più volte modo di sottolineare.
Madame ha raccontato la passione, unica, assoluta, prepotente, per il lavoro che l’ha scelta. Perché quella che ha portato questa giovane donna ai fornelli non è stato un deliberato percorso a mantenere le tre stelle del papà, a sua volta figlio d’arte della Maison Pic di Valence, ma una voglia improvvisa, dopo gli studi in economia e da assoluta autodidatta, di esplorare quello che era decisamente un ‘affaire de famille’.
E a pochi mesi dal suo ingresso in quella cucina così impegnativa, la perdita del padre ha scelto per lei: con un compagno al fianco e l’unico desiderio di far bene, si è rimboccata le maniche e ha deciso di mettersi al timone, lei giovane, donna e figlia, in una brigata che di sicuro non l’ha amata al suo primo apparire.
La terza stella è scomparsa, così come era previsto, e lei non si è persa d’animo, ma anzi ha deciso di intraprendere la strada più complicata: quella della rivoluzione, del ripensare interamente la proposta di un locale considerato perfetto perché storico, perché ancorato alle certezze dell’alta cucina francese. E la terza stella è tornata, anzi, è stata data proprio a lei, così come il riconoscimento del suo valore, che non è di famiglia ma di lavoro.
“Penso che molte delle persone che lavoravano con mio padre avevano scelto la via più semplice, avevano scelto di lavorare al minimo, e non era quello che volevo. Io ho deciso di evolvere, di modificare radicalmente la strada seguita fino ad allora. In cucina l’accoglienza è stata fredda, e in sala spesso i clienti non si ritrovavano in quello che facevo. Ho sofferto ad entrare in quella cucina, a farmi rispettare, perché dovevo essere il capo, ma avevo anche bisogno di loro, della loro memoria. Ma è in momenti come questi che si rivela il carattere di una persona. Non ho ceduto, e ho proseguito, con costanza ma un passo alla volta, verso la mia idea di leggerezza.”
La sua cucina vegetale, con spiccate note di amaro comparse ben prima che diventasse di moda, la sua eleganza e la pulizia estrema dei suoi piatti sono cifre stilistiche che non cedono ad alcun vezzo ma sono al puro servizio del gusto autentico e chiaro.
“Spesso mi chiedono da dove mi viene l’ispirazione per i nuovi piatti. Credo fermamente che i giovani debbano riappropriarsi dei prodotti del territorio, ed usare questa conoscenza per evolvere. È dagli ingredienti che traggo la maggior parte delle idee, sono le materie prime la mia ispirazione.”
Sull’abnegazione totale Anne-Sophie e Enrico si ritrovano perfettamente: “Non bisogna mai pensare di essere arrivati – dice lo chef di Piazza Duomo, non pensare mai che ti hanno dato la terza stella, o pensare che ce ne sia una quarta da raggiungere. Bisogna continuare a soffrire: perché la cucina non è un lavoro, è un vero e proprio stile di vita. Vivi per i tuoi clienti.”
La Pic annuisce: “Penso che la cucina sia un esercizio di sincerità. Serve rimettersi sempre in gioco. La cosa che ancora più della cucina mi hanno insegnato i miei genitori – racconta con un’evidente commozione – è di mettere a valore i sentimenti dei clienti. Regalare emozione con il gusto, è questo che siamo tenuti a fare. La cucina non è un business, è molto più di questo.”
Proprio per questo motivo non dite mai, se tornerete a trovarla, che siete stati bene ‘come sempre’. Madame ha orrore di questa frase, perché la sua ambizione è di migliorare costantemente, in una perenne ricerca della perfezione.
Ma qual è l’ingrediente che questa donna straordinaria ama di più? La sua ‘madeleine’ del gusto? Risponde d’istinto, l’asparago bianco. Poi ci pensa e aggiunge anche il tartufo nero. “Però, proprio perché siamo qui, nelle Langhe che ho conosciuto e visitato per la prima volta, non posso fare a meno di riconoscere che il tartufo bianco ha tutto un altro sapore”.
E tra cucinare e mangiare, che cosa preferisce la cheffe*? Dopo un momento di riflessione è decisa nella risposta: “Una cosa non può esistere senza l’altra. Assaggio tutto, sempre, e faccio assaggiare tutto a chi lavora con me in cucina. L’équipe per chi fa il mio lavoro è fondamentale e va reso loro il giusto omaggio. Sono sensibile a chi è in grado di apprendere e rifare un lavoro con umiltà”.
La stessa umiltà e lo stesso desiderio di miglioramento continuo che abbiamo trovato in lei.
(*in francese il termine che è stato femminilizzato , così che non sia indispensabile aggiungere la parola donna alla parola chef).
Il nostro lavoro è mettere a valore i sentimenti dei clienti. Regalare emozione con il gusto, è questo che siamo tenuti a fare.
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