Assipan risponde a un articolo pubblicato sul sito di Italian Gourmet a firma di Atenaide Arpone ponendo l’accento su una presunta discriminazione verso l’associazione, ma aprendo al dialogo nell’ottica di un’azione comune per contrastare il calo delle vendite del pane. Noi ci siamo. E voi?
I fatti: Italian Gourmet critica Assipan
Il 5 luglio scorso, sul nostro sito, ho scritto un articolo criticando l’iniziativa di Assipan – Confcommercio e Assopanificatori – Fiesa Confesercenti che chiedevano lo stato di calamità del pane. Secondo me il calo dei consumi del pane artigianale, che è oggettivo, non è ancora stato analizzato con franchezza e si cercano aiuti esterni, quando è chiaro che la categoria debba prendere in mano il proprio destino con umiltà, riconoscendo i propri limiti, primo fra tutti la mancanza di coesione, e smettendola di attribuire ad eventi esterni il disinnamoramento degli italiani verso un prodotto che è da sempre cardine della nostra cultura.
Ebbene, con mia enorme gioia, Assipan ha risposto, anche in modo piccato se volete, ma schietto. E, laddove c’è questo atteggiamento, c’è anche un ottimo presupposto per cominciare al lavorare. Per questo e soprattutto per l’onestà intellettuale che Assipan non mi riconosce ma che io so di avere, pubblico interamente la loro lettera e, anzi, li ringrazio. Come dico spesso io non pretendo di avere ragione, ma conosco da molti anni questo settore e – a mio modo – sto lanciando un grido d’allarme. Il pane non è in crisi. A essere in crisi sono i panificatori, perché faticano ad accettare il cambiamento.
Vi invito quindi a leggere la lettera di Assipan e il mio breve commento. Nei prossimi mesi incontrerò tutte le associazioni di categoria che mi daranno udienza e le inviterò a un evento che Italian Gourmet ha pensato proprio per fare il punto della situazione. Lo abbiamo chiamato Bakery 3.0: gli stati generali dell’Arte Bianca. Si terrà il 10 novembre all’Hotel Entreprise di Milano. Chiunque voglia partecipare è il benvenuto: l’ingresso è libero per tutti i panificatori
La lettera di Assipan: la polvere sotto il tappeto
«Recentemente è stato pubblicato un articolo fortemente critico circa l’iniziativa di Assipan – Confcommercio e Assopanificatori – Fiesa Confesercenti di dichiarare lo stato di crisi del settore della panificazione. Si possono legittimamente avere opinioni diverse su temi importanti come questi, vorremmo però cercare di spiegare perché si è arrivati a questa decisione. Per poter analizzare la realtà e decidere che contromisure eventualmente utilizzare è necessario fare una fotografia dello stato delle cose. Questa non è una nostra opinione, lo dice la scienza che studia le congiunture economiche e vale per ogni situazione. Inoltre, non c’è da aver paura a chiamare ciò che appare col nome necessario: che ci si trovi di fronte a una situazione in decrescita (se non piace la parola crisi) è lampante ed emerge da ogni indicatore oggettivo.
I panifici stanno chiudendo? Sì, in molti chiudono per difficoltà economiche o di passaggio generazionale. I molini stanno chiudendo? Sì, hanno chiuso circa 1000 molini (incontri con Italmopa su calo consumi). Questo non ci riguarda direttamente ma evidenzia un trend che ha a che fare con panifici e consumi. Il consumo medio giornaliero del pane sta diminuendo? Si, sta diminuendo. Negli anni ‘70 si consumavano circa 250 g di pane al giorno a persona, negli anni ’90 circa 160 g, oggi circa 80 g. (dati ISTAT). C’è un cambiamento circa le abitudini alimentari? Sì, ci sono più studi indipendenti che certificano che le famiglie a pranzo sempre più tendono a mangiare fuori casa (anche separatamente in posti diversi).
La cosa più evidente è che c’è una modificazione del gusto circa i prodotti da forno: sì è passati dal privilegiare il croccante al preferire il soffice e la battente pubblicità su merendine e altri prodotti da forno simili ne è una delle cause. Questa evidenza è confermata anche da altre organizzazioni: abbiamo partecipato a progetti pensati per i ragazzi delle scuole materne ed elementari che avevano come obiettivo il recupero del gusto della masticazione, progetti partiti su indicazione di studi delle ASL appunto circa la disabitudine a masticare prodotti croccanti. Quindi siamo di fronte a un cambiamento di abitudini alimentari, anche se questo non necessariamente porta con sé cali di consumi e situazioni critiche. Può non piacere ma questo è il momento economico e sociale in cui oggi vivono i panificatori.
Ma questa fase decrescente da cosa dipende? Non abbiamo la pretesa di saper rispondere in maniera esaustiva a questa domanda. Crediamo che ci siano delle cause esterne a noi stessi, di queste alcune sicuramente hanno a che fare con come si muove il mercato e con quali bisogni vengano maggiormente indotti, ma su queste dinamiche abbiamo davvero pochi strumenti e poche risorse per essere veramente incisivi. Altre cause hanno a che fare con noi stessi, e in particolare con due aspetti del nostro essere professionisti, ovvero il nostro saper fare e il nostro saper essere (non se ne parla mai). La sola cosa buona di tutto questo fermento è che su ciò che dipende da noi stessi, ci si può lavorare! Aprire un tavolo di crisi per noi vuol dire provare a far fronte alla prima parte del problema, ovvero coinvolgere le istituzioni che indubbiamente hanno mezzi e possibilità diverse dalle nostre.
Per dare un esempio su cosa si potrebbe fare: provate ad immaginare gli effetti sui consumi di pane artigianale se venisse realizzato uno spot pubblicitario sulle caratteristiche di un buon pane, sul valore che abbia andare a comprarlo direttamente da chi lo produce, sulla sacralità di questo alimento, da passare sulle reti nazionali. Noi non avremo mai le risorse per fare un intervento del genere, ma forse proprio questo potrebbe essere un argomento da portare al tavolo. Avrà una utilità? Sinceramente non lo sappiamo, crediamo però che possa essere un punto di partenza per dare uno scossone a una situazione che tende a rimanere sbilanciata verso interessi diversi dai nostri.
Poi, tornando alla seconda parte del problema, che una larga parte della complicazione stia in noi stessi è indubbio. Che molti di noi vedano la formazione professionale e trasversale come un optional indesiderato è altrettanto evidente. Che le associazioni di categoria non facciano un’azione comune per promuovere in maniera positiva il buon pane e le buone pratiche di lavorazione è cristallino. Secondo noi chiedere lo stato di crisi e l’istituzione di una Consulta della Panificazione, significa anche cominciare da noi stessi, dalle nostre divisioni, dal nostro farci la guerra, dalla incapacità di far percepire a noi stessi e agli altri la necessità di una formazione continua, dall’affrontare la paura di dare alle cose il nome che hanno. Ha a che fare con questo perché ci chiameranno intorno a un tavolo e lì, in campo neutro, potremo parlare, sempre se vorrete partecipare.
Che ci sia una divisione è indubbio. È però difficile, se non impossibile, parlare con chi non vuol nemmeno ascoltare ciò gli altri hanno da dire (basta leggere il vostro precedente articolo per farsi un’idea). Per fare l’unione e la forza bisogna essere in due a volerlo: noi ci siamo, e voi? Lavorare insieme è indubbiamente meglio, quando non si pretende una adesione cieca e acefala. A questo proposito se una associazione di categoria, dopo aver fatto un lungo percorso con voi, decide di provare altre strade, forse per loro ci sarà una buona ragione per farlo.
Vogliamo spingere sulla formazione professionale perché riteniamo che questo sia il Problema con la P maiuscola? Siamo pienamente d’accordo! Più volte abbiamo richiesto anche in forma ufficiale al MIUR di stabilire un corso specifico per panificatori. Ma questo varrà per le leve future: siamo consapevoli e concordi sul fatto che oggi dobbiamo pensare a migliorare noi stessi, da subito.
Non abbiamo inoltre alcun problema a dare valore a chi ha autorevolezza nel nostro settore: il fatto che molti colleghi non lo facciano non crediamo possa esserci addebitato. Conosciamo il nostro valore e i nostri limiti: siamo pronti ad imparare e a collaborare, se in questo c’è reciprocità. Vogliamo provare a dar valore, noi stessi prima degli altri, a ciò che facciamo? Anche su questo siamo d’accordo, restano da valutare bene le condizioni di molti di noi, perché una cosa è enunciare un principio condivisibile “bisogna puntare su prodotti premium” un’altra è calarlo nella realtà di tante piccole aziende che spesso non riescono a far valere i loro già ottimi prodotti. Anche qui torna il tema di una formazione identitaria che spesso manca.
Alcune associazioni esistono per motivi ignoti, sicuramente non per offrire servizi alla categoria! Ma davvero in sincerità ed onestà intellettuale pensate che solo voi SIETE e che tutti gli altri valgono zero? Prima di scrivere una cosa così presuntuosa, avete provato a conoscerci? Forse non saremo bravi come voi pensate di essere, ma da qui a sostenere che il diverso da voi esista solo per motivi ignoti, ne passa di strada. L’atteggiamento sprezzante con cui veniamo trattati rimanda all’immagine di chi spazza in casa per poi mettere la polvere sotto al tappeto: non ci volete vedere e vorreste metterci sotto al tappeto ma ci siamo, eccome se ci siamo!
È stata presa una parola, crisi, per sostenere che vediamo solo gli aspetti negativi della congiuntura, che non abbiamo alcuna voglia di lavorare su noi stessi, che non siamo lucidi, che non siamo modesti, che non diamo valore ai colleghi più bravi di noi, che siamo solo burocrazia, che ci siamo dimenticati di chiedervi il permesso di esistere. Ma a chi riuscirebbe facile parlare con chi ha tutti questi pregiudizi? Nel guardarci non vi pare di usare lenti ideologiche e di parte che vi impediscono di valutare oggettivamente noi e le cose? Poi non si capisce perché la parola crisi faccia così tanta paura come se il non nominarla, la eliminasse, quando poi la crisi c’è davvero e sulle cose da fare per affrontarla, non ci sono differenze di opinione.
Per concludere ben venga ogni iniziativa che possa rimettere in moto un confronto su noi stessi e sul pane: siamo pronti a rimboccarci le maniche e a collaborare. Noi per la verità non abbiamo nulla da dimostrare, vorremmo solo dare il nostro contributo». Firmato: Assipan
La risposta
Sono davvero contenta di aver suscitato una reazione così vivace. Era ora! Anche se nella lettera di Assipan, come d’altronde nel mio articolo, ci sono argomentazioni condivisibili e altre meno, questo è decisamente un ottimo inizio per aprire un tavolo di discussione. Per la prima volta da anni, anche all’interno delle associazioni, vedo alcune persone schiette e disposte a dialogare per davvero. Non abbiatevene a male, ma non è che sia sempre stato così… ricordo agli amici di Assipan che affermano: «Prima di scrivere una cosa così presuntuosa, avete provato a conoscerci?» che in un tempo non molto lontano le associazioni di categoria nemmeno mi rispondevano al telefono e alcuni presidenti territoriali (per non parlare dei nazionali) rifiutavano di rilasciare delle interviste e quando mi incontravano facevano finta di non conoscermi. Ora io sarò anche presuntuosa, ma so per certo che è questo l’atteggiamento che dovete temere: la fuga dalle proprie responsabilità e, soprattutto, la rinuncia al dialogo. Beh… in questo caso Assipan non lo ha fatto e io ne sono contenta. Litigare, bonariamente per carità, equivale a confrontarsi. E confrontarsi equivale a crescere. Tutti insieme.
a cura di Atenaide Arpone
Condividi l'articolo
Scegli su quale Social Network vuoi condividere