a cura di Roberto Magro
A 91 anni il Signor Paul Bocuse, a meno di un mese di distanza dal Signor Marchesi, ci ha lasciati. Insegnamento, esempio, condivisione, modello, Papa e cuoco del secolo. Tutte espressioni che si rincorrono nella nuova giungla mediatica dei profili social: rimbalzano, diventano l’una l’eco dell’altra. Prima ancora di giornali e Tv, prima ancora della stessa rete, sono i social che rilanciano la notizia: per primi Alleno, poi Viannay che a Lione gestisce il locale che è stato uno dei luoghi di formazione di Bocuse, La mère Brazier (‘l’ecole de vie’ come la definì Bocuse stesso).
L’Auberge du Pont de Collonges è il ristorante capofila dell’impero di Bocuse, con quella sua facciata dalla cromia decisa, i piatti disegnati sui quattro lati, i murales che lo ritraggono e l’insegna con il suo nome a caratteri cubitali che campeggia al di sopra. Quasi un museo della gastronomia da fuori, ma nel piatto una cucina straordinariamente ancora viva. Un’idea di nouvelle cuisine lontana da derive minimaliste, dalla quale prese egli stesso in parte le distanze, grande amatore della cucina tradizionale dove, senza timori lipidici, non manca il burro. Una modernità la sua che nei decenni si è cristallizzata e si è fatta classico: la zuppa ai tartufi, il pollo di Bresse in vescica, le triglie in scaglie di patate.
‘La Cucina del mercato’ del 1976 un testo definitivo: rosso e voluminoso come una Michelin senza annata, universalmente valida, con quel titolo programmatico verso la materia prima, la spesa, la stagionalità, temi di oggi che Bocuse affrontava quaranta anni fa. Introdotto in italiano dal Professor Capatti e con la dedica a Fernand Point.
A Lione respiri Bocuse ai quattro angoli della città, oltre a Les Halles Paul Bocuse, oltre l’Institut Paul Bocuse, poco fuori Lione. Respiri Bocuse ai quattro angoli letteralmente, con le le quattro Brasserie Bocuse che hanno i nomi e le collocazioni dei quattro punti cardinali.
Una figura di uomo e di chef che è riuscita ad andare oltre i massimi riconoscimenti (chef del secolo, tre stelle conquistate e detenute ininterrottamente dal 1965) si è fatto premio, il Bocuse d’Or, con la statuetta che lo ritrae. Premio a lui intitolato che da trent’anni continua a richiamare concorrenti dai quattro angoli del pianeta; selezioni con un grado di adrenalina in crescendo per arrivare alla finale. In questo i francesi hanno sempre avuto poche remore: celebrare i grandi anche, e sopratutto, da vivi e non solo alla memoria.
Oltre che creatore di piatti, ispiratore di diverse generazioni di cuochi, anche grande comunicatore. L’aneddotica abbonda: basti ricordare la spettacolare accoglienza riservata a Bernard Loiseau per festeggiarne le tre stelle Michelin. Bocuse promise di invitare un ‘pezzo grosso’ per l’evento e finì col presentarsi di fronte al suo ristorante in groppa a un elefante del circo, brandendo una bottiglia di champagne.
Ambasciatore della cucina francese nel mondo con i suoi viaggi e con i suoi ristoranti dal Giappone agli USA. Se non ha avuto un successore di sangue in cucina, ha avuto un abile comunicatore e manager nel figlio Gérôme, che contribuisce a gestire un impero da 50 milioni di euro.
‘Les chefs pleurent dans leurs cuisines, à l’Elysée et partout en France. Mais ils poursuivront son travail.» così il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron oggi.
L’ultima parola spetta a lui con una delle sue frasi definitive: “Classique ou moderne une seule cuisine la bonne” Paul Bocuse 11/02/1926 – 20/01/2018.
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