Corriere del pane

Basta piagnistei in panificio – parte 4

Con questo termina l’appuntamento con Roberto Capello. Dal prossimo numero del Corriere del Pane lo spazio delle Grandi Firme è a disposizione. Contattate la redazione per saperne di più

Come dicevamo nello scorso numero, ai fornai piace restare nella propria comfort zone, ma questo li rende vulnerabili rispetto ai cambiamenti veloci che la modernità impone. Il sindacato, tutto, sia quello imprenditoriale sia quello dei lavoratori, spiace dirlo, resta pure lui nella sua zona di comfort, perché questo gli garantisce “iscritti” alimentando, populisticamente, un senso di protezione che tuttavia non può più esistere. Sto parlando di un sindacato apparentemente protettivo e giustificativo della pigrizia e che illude gli operatori avvallando la tesi che la garanzia del comfort sia un diritto da ricercare e garantire. Il che si traduce nel fatto che quando accade qualcosa, ovvero il mondo cambia, non si invitano gli iscritti a rimboccarsi le maniche (atto massimamente impopolare), ma si cercano, si auspicano, si chiedono, si pretendono a spese altrui, “tutele e sovvenzioni” ancorando di fatto il comparto. La sicurezza è un diritto non negoziabile, la distribuzione della ricchezza è un diritto non negoziabile, la qualità della vita lo è allo stesso modo, così come lo sono il rispetto dell’ambiente e la dignità umana: sono tutti diritti sacrosanti. Ma ogni diritto va sudato, conquistato e ognuno (ovvero ogni portatore di interesse) ha le proprie responsabilità e competenze nell’indurci a usare al meglio quel capitale che ci vantiamo, da sempre, di avere: le nostre interconnessioni neurali.

 

La consapevolezza dei costi: leva imprenditoriale fondamentale

Anche sulla redditività, almeno nel nostro settore, c’è parecchio da dire: è chiaro che i tempi sono cambiati rispetto a vent’anni fa quando bastava “buttare fuori un prodotto” con un minimo di originalità e si vendeva. I costi erano più contenuti, non vi erano tutti quelle voci di costo che ci sono ora (molte delle quali nascoste). Il ritorno del capitale investito era veloce e soprattutto consistente. Oggi, velocità e consistenza del ritorno non ci sono più con i termini passati, quindi, anche un minimo investimento sbagliato, rischia oggi di farci molto male. Una volta si investiva perché poi avremmo prodotto e sicuramente venduto (cioè si creava il mercato) oggi invece si investe perché dobbiamo soddisfare un mercato saturo quindi dobbiamo avere la certezza, assoluta che il prodotto che implementiamo venga acquistato. E se invece questo non funziona e siamo finanziariamente un po’ deboli, i dolori si fanno sentire. La consapevolezza dei costi è leva imprenditoriale fondamentale: oggi occorre produrre prodotti desiderati, che il cliente sia felice di acquistare e quindi ad alto valore aggiunto. Ma la consapevolezza non va limitata alla sommatoria dei costi di una ricetta, al contrario va estesa a tutto l’universo aziendale produttivo quindi dall’acquisto della materia prima all’informazione produttiva per elaborarla con sapienza, fino all’incasso del corrispettivo. E se visioniamo il processo produttivo in questo modo, le sorprese che ci fanno impallidire non son poche. Ebbene, il sindacato imprenditoriale, quello “educativo” non quello “panciaiolo” avrebbe dovuto, forse, dirci queste cose, ma dire questo significa perdere popolarità. Non dirlo, tuttavia, ha significato creare le condizioni per perdere soci, perdere iscritti, perdere “potere” e annichilirsi. Il sindacato nostalgico populista ha vita breve. Se è farcito pure di prepotenza, arroganza, presunzione è già chiuso in una bara zincata e quindi lì, il nostro tempo, il nostro ingegno, le nostre energie non vanno impegnate.