È arrivata la quarta edizione del club event sul vino ideato dalla comunicatrice Alessandra Montana insieme al Master of Wine Gabriele Gorelli.
L’idea di Be.Come è quella di parlare di vino in modo trasversale, andando oltre il prodotto in sé e coinvolgendo, come nella puntata appena terminata quest’anno a Milano, 34 cantine italiane che hanno dialogato con oltre 300 interlocutori tra General Manager di hotel a cinque stelle, esportatori, sommelier, stampa trade e lifestyle.
Tra tavole rotonde e masterclass, c’è stata l’occasione per un’incursione anche nel mondo del neuromarketing con Vincenzo Russo, Professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing presso lo IULM, e per fare il punto sui trend di consumo del vino, in Italia e negli US intervistando due esperti d’eccezione come il già citato Gorelli e Jeff Porter, sommelier, wine educator e penna di Wine Enthusiast, oltre che consulente di molti ristoranti negli States.
Gabriele Gorelli, Master of Wine: fare ricerca, proporre nuove etichette
Be.come ha visto anche l’incontro tra sommelier e ristoratori. Che tendenze sono emerse sul pairing cibo e vino? E quali i vini più richiesti dalla grande ristorazione?
Credo il food pairing debba evolvere e trovare nuove strade anche facendo sperimentazioni impensabili fino a poco tempo fa. Un esempio? Le varie annate di Yquem abbinate da Bottura a piatti tutti rigorosamente salati: una degustazione originalissima, da capogiro. La stessa cosa ho fatto io con varie annate del Vin Santo del Chianti Rufina Riserva dei Marchesi Gondi. Da tempo credo di più nel “mood pairing” che nel food pairing: la capacità di abbinare quella bottiglia, quell’annata particolare a un piatto, anche se sulla carta non sembrerebbe la migliore, per creare emozioni nuove e diverse.
Hai dedicato, insieme a Jeff Porter, una bella Masterclass – Italy Quintessential Reds – ai grandi rossi d’Italia: Brunello, Barolo, Bolgheri, con un tocco di Sicilia e di Trentino. Da molte parti però si sente dire che i rossi strutturati sono in crisi anche a causa di temi salutisti e cucine più leggere. Come la vedi?
Per quanto riguarda la tendenza salutista, che esiste, sono d’accordo fino a un certo punto, perché poi quando uno si concede una serata al ristorante, un’esperienza, per una volta lascia da parte diete e rigore.
Detto questo, i grandi rossi hanno delle ciclicità, il mercato non è mai lineare e magari oggi, per tanti motivi, la loro fase può essere discendente. Ma non dimentichiamo che forse abbiamo sbagliato mercato di riferimento per i rossi orientandoci troppo verso l’Asia quando magari era meglio avere nei radar anche Sudamerica e America centrale. Ci vuole tempo e nuove strategie sui mercati globali; poi, si vedrà.
Qual è il ruolo del sommelier, oggi, a fianco del ristoratore?
Il sommelier è molto importante, anche dal punto di vista economico. Oggi c’è bisogno di chi sappia scegliere e acquistare i vini per affinarli: i sommelier devono essere anche esperti di finanza, comprare vini emergenti al prezzo giusto, in alternativa a stili consolidati che difficilmente si acquistano a cifre sostenibili, saperli affinare nel tempo e proporli come armi per stupire il cliente. Penso al Greco di Tufo che ha potenzialità di evoluzione incredibile e potrebbe essere tranquillamente mostrato a fianco di Chablis e Borgogna bianco. A sommelier e ristoratori dico: smettiamo di acquistare e proporre solo etichette stranote, adagiandoci nella comfort zone. Facciamo ricerca, proponiamo cose nuove: questa è l’evoluzione.
Jeff Porter, sommelier, wine writer e wine educator: non è più tempo di vini di scarsa qualità
Qual è la situazione oggi del vino italiano negli US?
Quello statunitense è un mercato enorme, difficile generalizzare, ma sicuramente il vino italiano c’è, e parecchio. Io continuo a vedere che i rossi di struttura sono richiesti e ben venduti, ma sicuramente una fetta di persone si sta orientando su vini più freschi, meno impegnativi. Fortunatamente, la diversità italiana di vitigni e territori offre una scelta per tutti.
Molti rossi nobili sono anche impegnativi dal punto di vista economico: può essere una causa del calo nei consumi?
Il mondo del vino è più competitivo oggi perché è globale, e certi vini, per quanto sempre molto amati, sono più costosi. Il vino tende a essere un lusso, il potere d’acquisto si riduce, e se le persone vogliono continuare a concedersi un calice, spesso devono cercare alternative, vitigni ed etichette meno note, stili di vinificazione differenti. Le scelte salutistiche giocano un ruolo, certo, ma il vero driver è economico.
Si cercano alternative anche a tavola, per quanto riguarda il food pairing?
Sì, ma non solo per questioni economiche. Come dice Gabriele sopra, penso che ci sia meno rispetto della tradizione a tutti i costi, ed è un bene. Si va verso abbinamenti che siano un piacere per i sensi e non necessariamente quelli “giusti” che leggiamo nei libri.
Il mondo del vino è ancora in buona salute, quindi?
Ci sono dinamiche molto grandi in movimento, non ultima quella generazionale, poi moltissime alternative tra le bevande, meno fedeltà ai brand e più sperimentazione. Il settore può essere in un momento difficile, ma resto positivo. Il vino è cultura, parte della storia delle persone: ci saranno sempre consumatori interessati. Di una cosa però sono certo: non è più tempo e non c’è più spazio per vini fatti male senza qualità.
a cura di Barbara Sgarzi
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