Si chiamano Ristoranti Sostenibili, Alleanza Slow Food, Resistenti & Co. Sono i locali del cibo che hanno scelto l'ecosostenibilità come cifra dichiarata della loro offerta.
Posizionati a metà tra l’autocertificazione e l’adesione a un eco-protocollo, sono schierati dalla parte della rivoluzione verde in tema cambiamento climatico. Dunque di plastica, olii esausti, detergenti, materie prime, km zero. E si comportano di conseguenza. Ma al di là di associazioni e movimenti, le buone pratiche per un futuro a basso impatto ambientale stanno coinvolgendo un numero sempre più alto di cucine, alte e popolari, senza soluzione di continità.
Impossibile non fare i conti con il cambiamento climatico. Siccità e bombe d’acqua, tempeste di grandine e venti devastanti: il pianeta sta vivendo un peggioramento metereologico (con quel che ne consegue) ritenuto da molti ormai irrimediabile. Del resto, dall’inizio del terzo millennio gli accordi sul clima sono stati ignorati da un parte all’altra del pianeta. Basti pensare che il solo sistema agroalimentare globale, tra colture massive e allevamenti intensivi, ha prodotto quasi venti miliardi di tonnellate di CO2 all’anno.
Le buone pratiche bio
Certo, la politica, le istituzioni, le lobby finanziarie hanno responsabilità enormi. Ma noi abbiamo il dovere di fare comunque la nostra parte.
E stiamo cominciando a farla. Una ricerca sul “biologico fuori casa” condotta da Ismea con Fipe e AssoBio ha evidenziato come nell’ultimo anno oltre la metà dei bar italiani e quasi il 70% dei ristoranti abbia utilizzato e/o proposto cibi, bevande e materie prime biologiche, malgrado i prezzi superiori del 15% e più rispetto a quelli delle referenze convenzionali.
L’approccio naturale all’agricoltura porta benefici a largo raggio, dalla capacità dei terreni di “mangiare” il carbonio a quella di assorbire e trattenere l’acqua (mentre sui terreni devastati dalla chimica l’acqua scivola senza riuscire a penetrare). L’assenza di fitofarmaci – pesticidi, erbicidi, antimuffa, ecc) si traduce in salvaguardia dell’ecosistema (api in primis) e della salute.
Dal punto di vista organolettico, poi, non c’è partita: profumi, sapori e virtù nutrizionali squadernano qualsiasi percezione sensoriale e analisi di laboratorio. Il tutto, confermato dalla doppia piramide alimentare&ecologica elaborata dal Barilla Center Food&Nutrition, che associa le basi della dieta mediterranea – frutta, verdura, cereali, legumi – a produzioni poco impattanti. Al contrario di dolci e soprattutto delle carni, troppo spesso figlie di produzioni pessime per la salubrità di ambiente e animali (e quindi nostra).
Cambiamento climatico? I nuovi menu eco
I ristoratori più consapevoli hanno messo mano alla quotidianità dei loro locali non solo dal punto di vista della gestione, ma anche nell’elaborazione dei menu. Vent’anni fa – o anche solo dieci – le carte vegetariane erano relegate a ristoranti alternativi o eccentricamente chic. Pietro Leemann con il suo pionieristico Joia era l’unico stellato “green oriented”.
Oggi non esiste menu d’autore che non contempli svariati piatti vegetariani, quando non interi percorsi di degustazioni dedicati. E la guida Michelin ha varato le “stelle verdi” per premiare le insegne più meritevoli nella pratica dell’ecocompatibilità.
A testimoniare il cambiamento, lo studio “Il clima è servito: la sostenibilità è possibile, anche al ristorante” di Slow Food. I dati dicono che un menu con poca carne, ingredienti provenienti da sistemi agricoli sostenibili e scelte ispirate a risparmio energetico e riduzione dello spreco alimentare produce un’impronta ecologica minore di 4,5 volte rispetto agli altri.
I riscontri dei ristoratori sono ottimi, se è vero che i clienti sembrano gradire assai il cambio di prospettiva. Poi, nulla vieta di addentare una tantum una magnifica bistecca. Ma di un animale che ha vissuto bene la sua vita fino al sacrificio ( per dirla con José Gomez di Joselito).
Salvaguardando il benessere della terra e di noi tutti.
In apertura: foto PxHere
a cura di Licia Granello
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