Cotoletta o costoletta? Questo è il dilemma. Chiarito definitivamente nel 2008 da una denominazione comunale che recita “costoletta alla milanese”. E, allora, così sia: di vitello da latte, dello spessore di 3-4 centimetri e rigorosamente con l’osso. Servita ben calda (con qualche fettina di limone) dopo esser stata tuffata nelle uova (ben sbattute in una ciotola), passata nel pane grattugiato, lasciata riposare in frigorifero per una trentina di minuti e fritta da entrambi i lati nel burro chiarificato.
Un piatto-vessillo d’italianità, oltreché di milanesità, celebrato domenica 17 gennaio in occasione dell’International Day of Italian Cuisines: l’Idic. Una vera e propria Giornata Mondiale delle Cucine Italiane, capitanata da Rosario Scarpato, nonché firmata e promossa dal Gruppo Virtuale Cuochi Italiani: voce di un network di oltre 2.700 chef e culinary professional in the world. Una sorta di “giorno di ringraziamento” del made in Italy, che ha come sua roccaforte l’Hotel LaGare del capoluogo lombardo e come arena il globo intero. Grazie anche a una serie di collegamenti video in diretta con i diversi angoli del Pianeta. Mentre a tener alta la bandiera tricolore sono una serie di chef, pronti a far focus sulla costoletta, sui possibili contorni e sui piacevoli abbinamenti enologici (e non solo): da Andrea Aprea a Claudio Sadler, da Tommaso Arrigoni a Tano Simonato, passando per Enrico Bartolini, Felice Lo Basso, Nicola Cavallaro, Matteo Scibilia e Marino D’Antonio (della pechinese Opera Bombana). Non dimenticando Marco Sacco (inviato speciale dal ristorante Isola di Honk Kong) due sopraffini macellai quali Simone Fracassi e Alberto Masseroni, il presidente di Euro Toques Italia Enrico Derflingher e il presidente della Federazione Italiana Cuochi Rocco Pozzulo.
Un ricco parterre di ambasciatori di sua maestà la costoletta alla milanese. Le cui origini affondano in quei lombolos cum panitio offerti all’abate della basilica di Sant’Ambrogio a Milano nel 1134. E nel bel mezzo di un banchetto di ben nove portate. Cotolette impanate e fritte, praticamente. Anche perché nel Medioevo era credenza che l’oro fosse la miglior panacea per le malattie cardiache. E la dorata panatura ben ricordava il prezioso metallo benefico.
Anche se per il primo vero riferimento alla cotelètta (in vernacolo locale cutelèta), bisogna attendere il 1814 e il dizionario del dialetto milanese-lingua italiana vergato da Francesco Cherubini. Dove si evince pure la palese radice francese della parola, derivante da côte o côtelette, ossia carne di vitello prelevata dalla costola con l’osso. Ben diversa, comunque, dalla wiener schnitzel, l’arcinota scaloppina alla viennese: preparata con un differente taglio di carne di vitello (se non addirittura di maiale, com’era uso fare nel Settecento), fritta nel grasso suino (e non nel burro chiarificato) e servita molto sottile.
Insomma, un’occasione per scoprire misteri e virtù di una grande pietanza italiana l’evento del 17 gennaio. Che apre le porte al pubblico a partire dal mezzodì. Con un costo d’ingresso di 30 euro.
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