È l’uomo delle stelle dei giorni nostri. Ma lui è autentico non come fu Sergio Castellitto, in arte "Joe Morelli" nell’omonimo film diretto da Giuseppe Tornatore.
Di Nadia Afragola
Enrico è autentico, dicevamo. Enrico cucina, dirige come il più grande dei maestri d’orchestra e trasforma in oro tutto ciò che finisce sotto la sua ala. Enrico oggi rappresenta più che mai la città di Milano e con l’avvento dei XXV Giochi olimpici invernali, che si terranno nel 2026 all’ombra della Madonnina, inevitabilmente finirà per rappresentare il paese intero. Lui e i suoi piatti, le sue scelte e il suo intercedere, senza alcuna sbavatura. Non sarà stato sempre così… da bambino in fondo sognava di “fare le scarpe” come il babbo, salvo poi a tre anni preparare il suo primo caramello con i pinoli. Una strada senza ritorno, per nostra fortuna. Il resto è storia. Stellata.
In città mancava un ristorante 3 Stelle Michelin dai tempi di Gualtiero Marchesi. Dobbiamo andare indietro nel tempo di 25 anni fa. Quanta responsabilità sente addosso?
«Non vedo tutto questo, le tre Stelle Michelin, come un peso, come una pressione da gestire, ma come una straordinaria ed emozionante responsabilità per il ristorante, per il mio team e per la città di Milano. Ogni chef che intraprende il percorso dell’alta cucina, deve ambire al massimo dei riconoscimenti, è naturale che sia così, ed è necessario mantenere sempre l’umiltà e la serietà che si richiedono».
Ricorda ancora quando ha iniziato?
«Quando ho iniziato avevo così tanta paura di non riuscire, che vivevo questi traguardi con un’ansia negativa. Poi si cresce e la consapevolezza ti trasforma in un uomo maturo. Inizi a gestire l’attesa nel modo corretto, perché anche vivere nella ricerca spasmodica di una Stella può avere i suoi lati negativi. La gestione di questo aspetto a livello psicologico è un punto fondamentale che provo a insegnare costantemente a chi lavora con me. Queste 3 Stelle Michelin poi aprono la strada a tutte quelle realtà che ambiscono a raggiungere lo stesso traguardo. Si diventa un punto di riferimento nazionale ed internazionale, e questo porta naturalmente maggiore visibilità non solo a noi, ma anche a tutti i ristoranti in città».
Come si mantengono le aspettative anno dopo anno?
«Con gli anni ho capito che quando c’è l’aggregazione umana, quando si condivide qualcosa, l’energia che si sprigiona, è enorme. Se ci si mette insieme si possono sollevare pesi impensabili. È questo forse il più grande dei segreti. Ho imparato che bisogna tessere un filo invisibile ma percepibile tra la sala e la cucina. L’armonia nel gruppo è vitale, è qualcosa che il cliente sente anche inconsapevolmente, è la sensazione dello stare bene all’interno di un ambiente».
Cosa accade una volta varcata la soglia del suo ristorante?
«Mi piace pensare all’esperienza al Mudec come ad un copione teatrale, che possiamo rinnovare ogni giorno ma che è talmente rodato nei meccanismi da fruire in maniera naturale. E come ogni processo creativo, ci deve necessariamente essere il tocco personale di ogni elemento del nostro staff, affinchè non risulti come una riproduzione meccanica senza sentimento».
Com’è vivere a Milano?
«Quando sono arrivato qualche anno fa ero intimorito dalla città, dalla tangenziale in particolare. Impiegavo sempre un’ora in più per raggiungere il centro, il che per me era motivo di grande ansia. Non ne percepivo il vissuto, non camminavo tra le strade della città, non visitavo i musei e i parchi. Ero un alieno».
Poi ha iniziato a viverla.
«Vivendola ho scoperto che c’erano moltissime cose da fare in città, ho iniziato a capirla a fondo e ad apprezzarla. Milano non è frenetica come Londra, Parigi, Hong Kong o New York ma è comunque sede di una quantità infinita di iniziative. Nell’immediato intorno poi ci sono borghi magnifici abitati da una manciata di persone e sono dieci volte più belli di Times Square. Milano è esplosa con Expo e mi auguro che lo stesso successo si verifichi con le prossime Olimpiadi invernali del 2026. Sono certo che sarà un nuovo slancio verso l’Europa, sia prima che dopo l’evento stesso».
Le Stelle Michelin pesano più sull’uomo o sullo chef?
«Le Stelle sono attribuite a una figura umana, quindi è naturale che pesino sulla persona. Gli chef ai quali sono state assegnate le 3 Stelle nel mondo, poi, sono molto raccontati e avvolti da un alone di misticismo, ma nella realtà dietro a queste persone “pluridecorate” ci sono dei team numerosi che lavorano in un sincronismo perfetto e che sono parte fondamentale del successo degli chef. È un riconoscimento dato ad un singolo, ma quel singolo sa benissimo che senza il suo gruppo non avrebbe mai raggiunto quei livelli di perfezione».
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