Uno dei piatti più popolari della cucina internazionale. Dimenticato per anni, è tornato alla ribalta grazie a Gordon Ramsay che lo adora, tanto da dichiarare che lo servirebbe senza dubbio alla sua ultima cena.
Oggi, del filetto alla Wellington ci sono infinite varianti gourmet: i classici manzo e vitello, ma anche pesce e verdure.
Storia e leggenda, molto più di un semplice filetto
L’origine del filetto alla Wellington è sconosciuta.
Alcuni ritengono sia l’evoluzione delle inglesissime e rustiche meat pie dopo l’incontro con la pasta sfoglia francese.
Ciò che è certo, invece, è che il duca di Wellington non ne sapesse nulla. Arthur Wellesley Il aveva senza dubbio sconfitto Bonaparte a Waterloo (e per questo ricevette il titolo di duca), ma non ci sono prove che abbia mai assaggiato il filetto che porta il suo nome.
Ricetta classica del filetto alla Wellington
La ricetta classica del filetto alla Wellington è quella che Julia Child, leggendaria cuoca statunitense, presentò nella sua seguitissima trasmissione “The French Chef” nel 1966.
Il filetto in crosta divenne, per la prima volta, “Filet of Beef Wellington”.
Per la ricetta originale si utilizza il filetto di manzo.
La carne deve essere insaporita con la salsa Duxelles, spalmata di foie gras e rivestita con la pasta sfoglia.
Andrea Alfieri, chef di Da Noi In dell’hotel Magna Pars di Milano, nel suo libro Cucinare la carne, ne presenta una versione decisamente filologica.
Ricette gourmet
Tante le versione creative presenti nell’alta cucina, a cominciare dal Vitello alla Wellington (dunque ancor più morbido) di Angelo Didonna e Mario Didonna al Preidlhof.
Filetto di rapa rossa alla Wellington di Federico Sgorbini
Federico Sgorbini, allievo di Enrico Bartolini e Andrea Ribaldone, chef del ristorante Dama, progetto di fine dining di recentissima apertura del Castello di San Gaudenzio a Cervesina, nel suo menu degustazione più innovativo Un po’ oltre, propone tra i secondi un Filetto di rapa rossa alla Wellington, almeno fino alla primavera.
“Io ho proposto questa preparazione in tante varianti: piccione, melanzana, coniglio e ora rapa rossa” spiega Sgorbini. “Dama – racconta lo chef – vuole essere un po’ il portavoce dell’Oltrepò Pavese, il territorio che lo ospita, quindi molti degli ingredienti sono di provenienza locale. Le farine per la pasta sfoglia classica sono dei Molini di Voghera, il burro è del Caseificio Cavanna, il fondo, sempre vegetale, è cotto con Riesling (per l’acidità) e Pinot Nero (per il corpo) sempre dell’Oltrepò. La nostra Wellington è molto classica, anche se vegetale. Abbiamo la crespella, la salsa Duxelles con base di scalogno, porcini secchi e champignon de Paris, e spinacino o erbette dell’azienda agricola Acà di Montù. Ingredienti del tutto locali per una preparazione autenticamente internazionale”.
La rapa rossa, cosparsa di sale grosso, viene cotta con la sonda al cuore, in tutto e per tutto come fosse un roast beef. E del roast beef ha anche il colore. “Dico ai miei ospiti che stanno mangiando un filetto vegetale al sangue”. La Wellington di rapa rossa viene servita monoporzione, tagliata in due, nappata con il fondo vegetale e accompagnata da purè di patate, come seconda portata nel menu degustazione.
Carciofo alla Wellington, salsa al pepe verde
Vegetale è anche la proposta di Daniel Canzian, chef del ristorante di Milano che porta il suo nome: un sontuoso Carciofo alla Wellington, salsa al pepe verde, parte della sua degustazione di piatti iconici.
Anche in questo caso il richiamo alla ricetta tradizionale con il filetto è esplicito, ma si abbandona il “mito” della carne che in questo piatto non è più elemento centrale ma completamento, come ingrediente principale della salsa; il cuore del fagottino di pasta sfoglia è dunque un carciofo, servito con sugo d’arrosto (preparato dallo chef con carni di animali da cortile: pollame e vitello) e una salsa al pepe verde.
Cima di rana pescatrice alla Wellington e salsa d’ostrica di Simone Pereta
Molte sono le proposte di Wellington marinare, come la Ricciola alla Wellington di Alessandro Pietropaoli al Campocori di Roma.
Emblematica è la Cima di rana pescatrice alla Wellington e salsa d’ostrica di Simone Perata, chef del ristorante A spurcacciun-a, all’interno dell’Hotel Mare di Savona.
Piatto che inserisce nella sua degustazione di piatti signature Alta Marea.
“Avevo in mente di proporre la pescatrice con un tocco ligure”, racconta Perata, “Così ho pensato di utilizzare il ripieno della cima alla genovese a bardare la pescatrice, racchiudendo poi il pesce in un guscio di pasta sfoglia come nella classica Wellington”.
Un accorgimento semplice ma geniale perché il pesce cuoce all’interno del ripieno, raccogliendone tutti gli umori e rimanendo umido. Viene servita monoporzione, tranciata in sala davanti al cliente, e irrorata con salsa d’ostrica, a base bianca, arricchita con l’acqua dell’ostrica e la polpa tritata dei molluschi, per una ineguagliabile nota iodata.
In apertura: il filetto alla Wellington di Andrea Alfieri, dal libro Cucinare la carne
a cura di Daniela Acquadro
Cucinare la Carne. Manzo e Vitello
Andrea Alfieri
“Cucinare la carne” è un manuale che vuole essere una guida utile per riconoscere, imparare a trattare e preparare al meglio le carni bovine. Accurato e ricco di step fotografici, dopo un’ampia spiegazione delle razze, degli strumenti e delle diverse modalità di cottura, Alfieri declina la carne in tre capitoli divisi per tipologia, “Manzo”, “Vitello” e “Quinto Quarto”, dove a ogni pezzo vengono abbiate una o più ricette ideali.
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