Severino Dellea, direttore operativo del Resort Grand Hotel Billia di Saint Vincent, risponde alle nostre domande per raccontare la sua professione, quella del Food and Beverage Manager, tra grandi responsabilità e consigli
Severino Dellea è Direttore operativo del Resort Grand Hotel Billia di Saint Vincent: per anni ha rivestito il ruolo di Food and Beverage Manager, che ancora riveste ad interim. È proprio lui a raccontare la realtà di una professione, quella del F&B manager, sempre più importante.
In un albergo o in un ristorante è colui che coordina e pianifica i servizi di ristorazione, che definisce gli standard qualitativi, che gestisce le risorse economiche e il personale. Un profilo professionale, quello del Food and beverage manager, di grande responsabilità e di grande complessità, una figura nata nelle grandi catene alberghiere americane ma ormai fondamentale anche in Italia.
Quali doti deve avere un buon Food and Beverage Manager?
«In primo luogo deve avere voglia di lavorare. Può sembrare banale, ma è così: non ci sono riposi né festivi, bisogna dedicarsi interamente a questo lavoro. Di conseguenza è necessario avere grande passione per la ristorazione. E poi ci vogliono creatività, capacità di comunicare e di lavorare in gruppo. Bisogna saper essere leader senza dimenticare l’umiltà. Perché il nostro lavoro consiste anche e soprattutto nel creare un legame tra i quattro grandi reparti: cucina, sala, cantina ed economato. Così bisogna saper fare gruppo, motivare le persone, comunicare a tutti i livelli. Occorre saper trattare tutte le professionalità con il rispetto che è dovuto a ciascuna, da quella del lavapiatti a quella dello chef stellato, entrando in sintonia tanto con chi è sotto i riflettori quanto con chi si muove dietro le quinte. Senza dimenticare la parte di banqueting: cene di lavoro, congressi, feste e meeting. Il tutto va gestito in modo da offrire il meglio a prezzi competitivi».
Come si diventa Food and Beverage Manager?
«L’inizio è sempre una scuola alberghiera, ormai fondamentale. Poi si inizia come commis… insomma, si fa la “gavetta”. Importantissime sono le esperienze nelle catene alberghiere, oppure in grandi alberghi, in Italia e all’estero, per capire quali sono gli standard».
Quale è stato il suo percorso?
«Il mio percorso inizia in famiglia: i miei genitori avevano un albergo a Chatillon. Qui ho assorbito e respirato la passione della cucina. Poi ci sono stati gli studi all’Alberghiero, il mio percorso nelle catene, l’esperienza con i Class Hotel. Tanto lavoro e un pizzico di audacia: mi trovavo in un albergo in cui il direttore era in maternità, e io ho iniziato a darmi da fare anche al di là delle mie mansioni, assumendomi nuove responsabilità. Così mi hanno chiesto di diventare direttore di albergo, poi food and beverage manager di tutta la catena. Fondamentali nel mio cammino sono state le esperienze in Francia, con Ducasse e i suoi Châteaux & Hôtels. Dal 2010 mi trovo al Billia come condirettore e Direttore Food and Beverage dell’Unità Alberghi di Saint Vincent Resort & Casino».
Come si traduce il suo lavoro nella quotidianità?
«Si possono individuare due momenti fondamentali: al mattino si fa lavoro manageriale, di ufficio. Il pomeriggio e la sera ci si dedica alla parte operativa: bisogna gestire tutto, dalla sala alla cucina. Si inizia alle otto e mezza del mattino, ma non si sa mai quando si finisce!».
Quali sono le maggiori responsabilità?
«Un tempo la ristorazione era la “Cenerentola” negli hotel: soprattutto in Italia l’offerta non era assolutamente al livello. Oggi si è capito finalmente che il ristorante è parte integrante di un hotel. Un concetto che è arrivato in primo luogo dalle catene e che il nostro ruolo deve affermare: nostra responsabilità è far sì che la ristorazione porti profitto all’hotel, attraverso la soddisfazione del cliente. Un ospite soddisfatto farà una valutazione positiva e ritornerà. Particolarmente delicata è poi la gestione delle risorse umane: bisogna saper parlare con tutti, comunicando nelle situazioni più difficili, quando la tensione è più alta, risolvendo problemi e andando incontro alle esigenze di tutti».
Quale futuro per questa professione?
«Il nostro lavoro deve essere solo migliorato, non snaturato. Dobbiamo migliorare per far sì che le strutture in cui lavoriamo migliorino a loro volta. Dobbiamo regalare soddisfazione al cliente e anche alla struttura, tenendo sempre un occhio sui costi e uno sulla qualità: bisogna ricordare che non si diventa chef stellati lavorando solo con filetto e altri ingredienti costosi, ma anche e soprattutto con materie prime più difficili da trattare. Rendere squisito un pesce povero come lo sgombro è il vero merito. E la nostra sfida è mantenere in equilibrio le due facce della medaglia».
a cura di Anna Prandoni e Daniela Guaiti
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