Formaggi e latticini: un universo di derivati del latte che tra eventi, concorsi e carte dei ristoranti continua ad unire appassionati
a cura di Roberto Magro
Se c’è una cosa che accomuna, e a volte contrappone, Francia e Italia sono i formaggi.
“Come si può governare un Paese che conta duecentoquarantasei varietà di formaggio?” affermava De Gaulle riferendosi alla Francia.
Noi e i nostri vicini di casa deteniamo entrambi un forziere di prodotti caseari pressochè sconfinato, questo ci accomuna; su chi detenga il bottino più fornito o il migliore, si possono invece aprire infiniti dibattiti.
Una cosa è certa: di formaggio non si è mai parlato tanto come oggi ed è sempre più protagonista di eventi al centro dell’interesse dei media.
Si è concluso da poco l’Italian Cheese Award 2018 che, a dispetto del nome, celebra e premia i migliori formaggi nazionali prodotti con latte 100% Made in Italy. E se una singola competizione non rende ancora bene l’idea della ricchezza del nostro patrimonio caseario, la suddivisione dei premi in dieci categorie (dal freschissimo allo stagionato oltre 24 mesi, passando per erborinato e aromatizzato) aiuta a capire meglio di cosa stiamo parlando.
Per non dire dell’edizione 2018 di Golosaria, che ha visto un’ampia sezione dedicata ai formaggi e ha accolto sul proprio palcoscenico FormaggItalia e decine di produttori artigianali di formaggio.
Latticini che uniscono il Paese e in grado di divenire simboli italiani: basti pensare alla mozzarella, non senza contrapposizioni tra regioni che ne rivendicano la tipicità. Il recente caso della DOP conferita alla mozzarella di Gioia del Colle non ha lasciato indifferenti i detentori campani dell’altra DOP .
A Milano sorgono poi locali con all’interno un laboratorio in cui produrre mozzarella, si rinuncia alla DOP ma non a un prodotto fresco e fragrante.
E se è vero che mode e tendenze investono qualunque alimento, i formaggi non ne sono esenti. Da sempre affinati nei modi più disparati, negli ultimi anni riscuotono successo i metodi di affinazione con distillati.
Formaggi “ubriachi”, non solo di vino, oggi anche di rum e gin.
La carta dei ristoranti e un classico che sopravvive: il carrello dei formaggi
E la ristorazione sta a guardare? Certo che no. Il carrello dei formaggi, o comunque nelle carte dei ristoranti la voce “formaggio”, da sempre è un classico, forse un po’ in disarmo negli ultimi tempi.
Tendenze salutisitiche, intolleranze ai latticini o mode taglia grassi portano a escludere dal pasto il momento del formaggio. Vero è che il carrello arriva dopo i secondi e prima del dessert, in una zona in cui sazietà e calorie ingerite potrebbero far desistere.
Chi ama il formaggio però non rinuncia; davanti alla varietà, all’abbondanza, alla vera e propria opulenza di alcuni carrelli, l’idea di poter pasteggiare con soli formaggi e una buona bottiglia di vino sarà venuta a molti. Un vino rosso in abbinamento ma non necessariamente: anche un buon bianco d’Alsazia ad esempio può fare al caso nostro, sconfessando il luogo comune del rosso come accompagnamento univoco.
Tra i locali nei quali il carrello dei formaggi sopravvive e fa bella mostra di sè, accompagnato al tavolo da personale capace di guidare nella scelta, proviamo a fare qualche esempio.
Prima ancora della cena, all’ora dell’aperitivo, un indirizzo interessante è la recente apertura di Égalité di Thierry Loy a Milano. Francese di nome e di fatto, il panettiere-pasticcere ha preso casa e bottega in Italia. Un locale versatile, nella vivace zona Porta Venezia, nel quale dopo il tramonto possiamo accompagnare un calice di vino francese o un cocktail con un interessante tagliere di formaggi, accompagnati da sfiziosi bignè al formaggio.
Sul versante ristoranti, a Milano Giancarlo Morelli nell’omonimo locale propone una vera esposizione universale di formaggi da fare invidia a qualunque ristorante al di qua e al di là delle Alpi. Sono più di trenta, fosse per Morelli dovrebbero essere cinquanta, formaggi che incantano allo sguardo e all’olfatto, prima ancora dell’assaggio. Un carrello che con le proprie referenze racconta anche la biografia dello chef che nella personale scelta parla di sé. Branzi, Casera, Bitto sono le espressioni casearie nordiche dello chef nato e cresciuto nella provincia bergamasca, che ha girato il mondo, e ancora oggi si divide tra Milano, Brianza e Sardegna dove ha aperto i suoi locali.
I formaggi da Morelli diventano veicolo di racconti legati al territorio: piccoli produttori, produzioni d’alpeggio, storie di artigiani del latte.
Non è da meno il bretone Philippe Levéillé, francese ma ormai trapiantato in Italia; lo chef nato a Nantes che ha intitolato la sua autobiografia “La mia vita al burro” non poteva certo deludere sul fronte latticini. Al Miramonti l’altro troviamo così i carrelli di formaggi, sono infatti ben due, e tra Italia e Francia soddisfano tutti i palati.
Da chef francesi trasferiti in Italia, se passiamo noi in Francia presso quello che è stato il Papa della ristorazione francese contemporanea, Paul Bocuse, possiamo avere gustose sorprese anche sul versante caseario.
Qui la proposta dei formaggi rappresenta anche la storia di un’amicizia lunga decenni, tra Paul Bocuse e Renèe Richard, vera istituzione al mercato Les Halles di Lione.
Il suo prodotto più noto è sicuramente il Saint-Marcelin che segnò il sodalizio tra Madame Richard e Bocuse. Lo chef promosse il prodotto nel proprio ristorante. Madame Richard dal suo canto pioneristicamnete creò una prima forma di marketing, imprimendo sull’involcucro del formaggio il suo nome e il suo logo. Nome che tra l’altro (La mère Richard) fu coniato proprio da Bocuse, per omaggiare la tradizione delle Mères lionesi, donne ristoratrici francesi della zona di Lione che nel secolo scorso riuscirono ad affermarsi conquistando palati gourmet e stelle Michelin.
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Ciò di cui si sente la mancanza nei carrelli dei formaggi, talvolta, sono spiegazioni adeguate che consentano scelte consapevoli, o più banalmente la presenza di un cartellino su ogni formaggio che riporti nome e provenienza. Per riuscire ad andare oltre la sbrigativa scelta generalista: qualcosa di vacca, qualcosa di capra, uno stagionato, un erborinato è così via.
Una cosa sola possiamo rimproverare alla proposta di formaggi al ristorante: quella di venire a volte timidamente presentati come alternativa al dessert. Perché quest’ardua scelta tra preparazioni entrambe golose, seppure su versanti diversi del palato? Quando la cosa più semplice sarebbe dire: entrambi, grazie.
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