Giacomo Bulleri appartiene a quella generazione di cuochi che sbarcarono a Milano tra gli anni 50 e i 60, portando con sè il sapere e il sapore schietti della cultura gastronomica Toscana.
a cura di Roberto Magro
Da Giacomo è stato da poco premiato dalla Regione Lombardia come “negozio storico”, dopo l’Ambrogino d’oro e un percorso di diversi decenni, alla soglia dei 94 anni Bulleri si è ritrovato ancora ad emozionarsi sul palcoscenico dove ha ricevuto il premio e raccolto i frutti del proprio impegno.
La sede storica di Giacomo Milano è quella di Via Sottocorno, mentre il ristorante più centrale è Giacomo Arengario. È uno degli otto locali del gruppo Giacomo Milano, l’ultimo nato in Versilia, a Pietrasanta, quasi un ritorno alle origini.
Un luogo affasciante il locale all’interno del Museo del ‘900: negli interni, con il richiamo al decò, e con una loggia su un esterno mozzafiato, dove la sera le luci fuori sono quelle della Galleria Vittorio Emanuele, dall’altra parte della piazza, e del Duomo.
Il presidente del gruppo, nonché genero di Giacomo, Marco Monti confessa che sono da sempre più abituati a fare e a comunicare più con l’esempio dell’operosità. Raccontare il proprio lavoro è qualcosa che stanno imparando negli ultimi tempi, ma il facile eloquio e la capacità di narrare non gli mancano di certo.
Quella di Giacomo Milano è una cucina che ha origine nelle tradizioni casalinghe. Trasportata poi in cucine dove talento e predisposizione al duro lavoro, anche senza aver frequentato una scuola professionale, potevano condurre un lavapiatti a divenire cuoco, racconta il signor Monti. La forma di insegnamento era la pratica, l’esempio quotidiano di chi già aveva imparato il mestiere.
Quella di Giacomo è una storia di un periodo in cui la ristorazione a Milano poteva anche assumere aspetti pionieristici e rocamboleschi.
Il signor Bulleri stesso ha iniziato nel 1936 a Torino, lavando una gran quantità di piatti.
Il signor Monti racconta della primissima apertura, in Viale Jenner, un bar con cucina, più che ristorante a tutti gli effetti. Meta nella pausa pranzo di lavoratori della zona, dove tavoli da biliardo coperti da assi di legno diventavano tavolate.
L’offerta ristorativa dei locali di Giacomo Milano è varia e sempre di famiglia, tanto da contare anche una pasticceria delle nipoti.
Nel ristorante Da Giacomo il pesce è sempre stato protagonista del menu. All’Arengario con il flusso turistico del centro storico i piatti imprescindibili della cucina milanese non possono mancare, ma ultimamente anche piatti fusion e nazionali dove convivono terra e mare.
Mentre al Bistrot il menu punta più sulla carne, con classici come il carrello dei bolliti.
La clientela Internazionale è sempre stata una costante di Giacomo Milano. Il signor Monti, con un sorriso sornione, racconta di come gli americani conoscano bene il nome di Via Sottocorno come una delle attrattive di Milano.
L’origine è da ricercarsi nel particolare momento che viveva Milano alla fine degli anni ’80: il boom di stilisti, sfilate e top model coincide con il trasferimento del ristorante Da Giacomo in quella via. Frequentatori come Versace, Ferrè e altri esponenti del fashion system, portarono una bella fetta di stranieri a conoscere e amare Da Giacomo.
La storia dei giorni nostri vede in cucina all’Arengario un giovane cuoco peruviano di soli trent’anni: Josè Otoya. In questa sede da poco più di un anno ma già da dieci in forza al bistrot.
Entusiasta e volenteroso, Josè si ritrova oggi a guidare una brigata che gestisce circa 200 coperti al giorno.
La cucina che propone non rinuncia a mettere nei piatti anche elementi che richiamano le proprie origini. La Huacatay, ad esempio, la menta nera del Sud America, che accompagna i ravioli neri ripieni di gamberi appena cotti, con trota salmonata e crema di porri.
O ancora un riso di mare al salto, cotto in bisque di gamberi e crostacei, con sontuosi carabineros a crudo, accompagnati da riduzione di gambero e peperoncino peruviano.
Una cucina ormai classica quella di Giacomo, simbolo di una Milano che non perde la propria identità ma conserva al tempo stesso uno sguardo rivolto al mondo.
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