Anche i critici più conservatori si sono arresi a un’inconfutabile evidenza: per vedere dove stanno andando il cinema, l’arte, la moda, la letteratura, bisogna volgere lo sguardo alle nuove generazioni di registi, sceneggiatori, artisti, designer e romanzieri. Sono d’altronde le loro immagini, le loro creazioni e le loro parole a raccontare lo stato attuale della società e della cultura; immagini, creazioni e parole che scattano un’indelebile e scrupolosa istantanea del mondo in cui viviamo e in cui noi stessi finiamo per riconoscerci.
In tale contesto, la cucina non fa certo eccezione: ormai – giustamente – elevata al rango di sesta arte, affida ai giovani chef il difficile compito di guidarla verso il futuro. Sono determinati, hanno le idee chiare e non vogliono affatto cullarsi all’ombra dei propri grandi maestri; sanno che oggi non basta essere chef ma bisogna imparare a essere pure imprenditori, facendo una ricerca incessante e selezionando con cura ogni singolo prodotto, materia prima e fornitore. Ed è la materia prima l’assoluta protagonista delle loro creazioni: poco manipolata e modificata il meno possibile, diventa il punto di partenza di un movimento più ampio che trasforma il ‘back to basics’ in un mantra alimentato a suon di costanza ed entusiasmo. Piccolo spoiler: vietato confondere questo ritorno alle origini come una regressione, anzi. Il nodo della questione è che spesso, per poter andare avanti, occorre fare un passo indietro.
Sara Preceruti, classe 1983, a ventott’anni conquista la stella Michelin alla Locanda del Notaio e nel 2016 apre il primo locale di proprietà a Porlezza, in provincia di Como, l’Acquada. Originaria di Pavia, Preceruti per il suo ristorante sceglie non a caso un nome che in dialetto lombardo significa ‘acquazzone’, quasi a voler testimoniare il vortice di sensazioni che travolge il palato grazie alla sapiente fusione di tradizione e innovazione. «La mia è una cucina diretta, che non mira a stravolgere la materia prima con cotture estreme: è riconducibile a una questione di identità e personalità, nel senso che accompagna le diverse fasi della mia vita e cambia a seconda di esse, quasi dando loro voce».
È un inno alla coerenza, quello di Sara Preceruti, tema che – insieme alla costanza – è caro a Simone Tricarico, milanese del 1990, approdato nell’aprile 2019 al Fioraio Bianchi Caffè, nella romantica Brera. Dopo parecchi anni all’estero, alla corte di monsieur Alain Ducasse; al The Waterside Inn, il tre stelle Michelin più famoso del Regno Unito; da Michel Bras a Laguiole e all’Astrance di Pascal Barbot, prendere in mano quel piccolo locale che un po’ ricorda un bistrot francese è insieme una svolta e una sfida. «Ho semplificato l’offerta, faccio la spesa al mercato di via San Marco per avere prodotti 100% italiani e costruire così una relazione di totale onestà col cliente. Il mio obiettivo è far da mangiare bene, in modo fresco e sano, obiettivo che si raggiunge soltanto conoscendo la stagionalità e arricchendo la propria cultura in merito ai prodotti. Per me e i miei ragazzi è un impegno incessante, che mettiamo in pratica ogni giorno e che finisce per essere una forma di divertimento».
a cura di Marianna Tognini
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