La storia del panettone passa dalle creazioni di Ciocca, pastry chef ante litteram e decoratore, che ad inizio 900 si specializzò nel dolce meneghino.
(a cura di Samanta Cornaviera, archeologa culinaria, MassaieModerne)
All’inizio del XX secolo, Giuseppe Ciocca era il più importante e famoso pasticcere d’Italia, il massimo esperto in materia di panettoni. Party chef ante litteram è operoso curatore di importanti manuali di pasticceria per neofiti e professionisti, sui quali spicca Il Pasticcere e confettiere moderno, pubblicato dal 1907 fino agli anni ’60: una vera e propria bibbia per generazioni e generazioni di aspiranti pasticcieri.
Nato a Treviglio, in provincia di Bergamo, nel 1867, fu anche un imprenditore capace, confettiere e gelatiere, direttore di diverse riviste di settore, come il Giornale dei pasticcieri e confettieri e la meravigliosa Rivista italiana di arte culinaria (1905/1914), l’house organ della potentissima Società dei cuochi milanesi, di cui era membro fondatore.
Ciocca presenta in maniera inconsueta il dolce tipico milanese nelle varie pubblicazioni, secondo lui il prototipo perfetto per spiegare il “vero sistema di lavorazione della pasta levata col lievito comune”.
È il dolce più caratteristico d’Italia, insieme al risotto collo zafferano, tanto da costituire i due poli estremi della pacchianeria paneropolitana (perché la pànera – la panna – ed il mascarpòn sono i due latticini tipici della Milano ghiottona). Andate in qualsiasi città del mondo – vecchio e nuovo – e troverete che il panettone troneggia tra i grossi pezzi della pastelleria dulciaria. Infatti sono convogli intieri di cassette di panettone che partono verso la fine di novembre da Milano per avviarsi verso le lontane Americhe, specialmente, portando colà, dei in altre regioni divinate e scoperte dal genio di Cristoforo Colombo, di Amerigo Vespucci, di Caboto e di Pigafetta, e persino di quelle asiatiche percorse per la prima volta da un europeo, il veneziano Marco Polo, un ricordo folcloristico per la cena tradizionale del “ceppo”, il panettone di natale, che ai buoni ambrosiani, al di là dei vasti mari e dei continenti infiniti, rammenta l’antico rito che formava la gioia dei loro anni infantili, quando accomunati al medesimo banchetto, trionfava, dopo il tacchino o pollin, farcito di mele, di marroni e di tartufi, il colossale panettone.
Sappiamo quindi che all’inizio del secolo, il panettone era esportato in tutto il mondo, anche grazie, spiega Ciocca, all’iniziativa di un famoso pasticciere milanese che abbandonando le vecchie abitudini ha saputo industrializzare e migliorare la specialità milanese. E anche grazie all’arrivo delle nuove macchine impastatrici e forni tecnici, come si vede dalla foto, che portarono anche a qualche variazione nella lavorazione.
L’arrivo dei nuovi macchinari diede nuovo impulso e tolse molta fatica dalle spalle dei pasticcieri, se pensiamo che “l’impasto, se fatto a mano, richiede circa 40 minuti, con le moderne impastatrici bastano 15-20 minuti secondo la quantità di impasto”.
È curioso scoprire che all’inizio del secolo non venissero ancora usati gli stampi di carta pergamena che aiutano il dolce nella fase di lievitazione ad assumere la tradizionale forma a cupola, riservati per la preparazione del Panettone di Torino o a quelli granellati.
Per la versione originale meneghina, Ciocca spiega che, una volta sporzionato l’impasto e lavorato a palla, si depone su assi coperte di tela infarinata o direttamente su carte unte e infarinate. Poi, “avanti di passarli in forno, si applica un leggero taglio in croce sulla superficie, terminando con quattro piccoli tagli trasversali ai fianchi; fatto ciò si mettono direttamente al forno appoggiandoli sul pavimento, che sarà ben pulito, raccogliendo il fuoco da una parte del forno stesso.”
I tagli laterali servivano anche come presa per aiutare a sfornare il dolce.
La parte più divertente del lavoro di Ciocca resta quella dedicata decorazione del panettone, nella quale era un vero maestro, oltre a disegnare personalmente tutte le figure presenti nei suoi libri. Un artista tout court. Per i signori della Belle Epoque milanese era doveroso avere delle vere opere d’arte in tavola, una tradizione che arrivava dalla sfarzosa arte culinaria del passato e che, pian piano, stava perdendo vigore, sopratutto dopo la fine della Grande Guerra: “I famosi panettoni di Milano, che vengono decorati per la ricorrenza del Natale, ricordano un po’ gli antichi costumi, ma questa consuetudine, da alcuni anni, accenna a modificarsi, per dar luogo ad un ordine di decorazione più semplice e pratico. Il panettone può essere decorato molto artisticamente, ma verrebbe a costare troppo, ciò che è in contraddizione colle esigenze moderne. Al giorno d’oggi, sono pochi coloro che si permettono una forte spesa per un prodotto che, passato quel minuto di ammirazione, deve poi essere consumato e distrutto, senza riguardo alcuno alle infinite cure di chi l’ha pazientemente decorato. Tuttavia a Milano, specialmente in occasione delle feste di Natale, vi è sempre un grandissimo consumo di panettoni decorati.”
“Il panettone esercita un fascino portentoso di golosità, non solo sui bambini, ma sulla fanciulla vezzosa, sulla donna galante e capricciosa, sulla signora matura e grave, sull’uomo rude, insomma su tutti.”
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