Una giornata dedicata al gelato, con l’obiettivo riscattare il settore da anni di dubbia qualità, in modo analogo a quanto avvenuto nel mondo pizza durante lo scorso decennio
Quello della prima edizione di Identità di Gelato dialoga con l’alta cucina e cerca nuove strade, anche tornando a saperi e sapori antichi. Il nuovo congresso voluto da Identità Golose, con la partnership di Motor Power Company, ha scelto la città di Senigallia e non a caso: «Essere oggi qui a Senigallia è importante per molti motivi – dice Paolo Marchi, ideatore e curatore di tutta Identità, quindi anche di Identità di Gelato – Faccio un passo indietro, torno agli anni Novanta, Moreno Cedroni e Mauro Uliassi erano ancora all’inizi della loro incredibile carriera, e Identità ancora non esisteva. Col tempo, da una parte Senigallia ha visto i due grandi chef protagonisti di un incredibile successo, e anche noi siamo nel frattempo nati e poi cresciuti enormemente. Mauro ha il gelato nel dna, i suoi genitori già negli anni Sessanta gestivano una gelateria; e Moreno è uno curioso di tutto, da tempo studia le diverse opportunità del gelato. Ricordo una data, il 9 giugno 2003 proprio a Senigallia, quando mi stupì presentando una sorta di grande torta gelato: era per la festa del mio matrimonio con mia moglie Luisa».
«Faccio lo chef e quindi sfrutto un vantaggio sui gelatieri nell’approcciarmi al gelato: loro hanno un’assoluta necessità, quella del bilanciamento tra le componenti gustative. Io invece devo certo saperle bilanciare, ma poi posso anche permettermi di sbilanciarle, perché non ho l’obbligo della coppetta e del cono, il mio gelato fa parte di un piatto più complesso in cui i singoli elementi possono anche giocare in contrasto aromatico tra di loro. Insomma, posso sbizzarrirmi». E l’ha fatto spesso, Moreno Cedroni, nella sua carriera: gelati di mare, gelati coi fermentati, cocktail-gelato… «Ho iniziato a imparare quest’arte nel 1988, tra coloro che mi stimolarono a farlo c’era proprio Paolo Marchi». Oggi il centro del pensiero e della ricerca di Cedroni è il Tunnel, laboratorio d’idee nato un anno fa e il cui responsabile è il sous Luca Abbadir. Qui si sviluppano progetti gastronomici per mezzo delle apparecchiature tecnologiche più sofisticate. Qui è nato anche il piatto-gelato in due atti al centro della lezione dello chef della Madonnina del Pescatore. Protagoniste: le api. Spiega Abbadir: «Abbiamo incominciato a lavorarci nel novembre scorso, ora il nostro risultato è sul menu». Sono partiti da un piatto di ceramica che riproduceva un alveare; ne hanno ricavato un modello in 3d con la quale hanno realizzato uno stampo in silicone alimentare. L’esito finale: un piatto con la forma dell’alveare, realizzato interamente di cera d’api e monouso («Utilizzato, va lavato, poi fuso e realizzato ex novo»).
Il senso della cosa? «Il piacere inizia dall’olfatto. Il profumo di questo piatto è il prima componente percepibile dell’assaggio». Ma cosa conterrà? Cera d’api non solo nel piatto, ma anche sul piatto, come innovativo addensante per il gelato, «è la prima volta che viene seguita questa strada». In soccorso è arrivato il Tunnel: «All’inizio la cera formava grumi. Poi l’abbiamo sciolta nella miscela consueta per il gelato e abbiamo sottoposto il tutto alla macchina a ultrasuoni, per 20 minuti; questa crea microbolle che, esplodendo, frammentano la struttura del composto. Il tutto va nella macchina mantecatrice Principessa e ne esce gelato che non si scoglie e regala una consistenza particolarissima». Gelato di miele millefiori, in questo caso; viene servito su una base di pan di Spagna, quindi brunoise di carote e mele Pink Lady, panna al sambuco, zest di limone, nocciole sabbiate salate, spuma di sambuco, polline, fiori e foglie di acetosella. Bingo, ecco il piatto-gelato Ape Regina. Prima ancora di quest’assaggio, un gioco goloso lo aveva introdotto: finte api edibili fatte col miele in uno stampo (sono di miele gelificato con agar agar, poi seccato per 5 giorni a 40°), colorate una a una e presentate su una foglia di acetosella «da usare come fosse un taco», l’ape golosa ne rimane avvolta e fa crunch sotto i nostri denti.
Da Cedroni a Mauro Uliassi: è tempo delle api, il tema della ricerca non cambia. Dice il Mauro tristellato: «Il gelato fa parte della mia vita. Negli anni Sessanta mio padre, che aveva un bar gelateria, fu tra i primi a prepararlo artigianalmente con una macchina mantecatrice e otto carapine. Quando diventai insegnante alla scuola alberghiera, frequentai corsi formidabili sul gelato, tenuti da docenti come Donata Panciera, il maestro Cecchiniello, Luca Caviezel…». Esito: «Ho spesso usato il gelato, sia nei dessert che come idea gastronomica»: agli asparagi, alla cipolla, ai peperoni, ai gamberi, al daiquiri, alla piña colada, «al Lagavulin con un soufflé al cioccolato»… Questa volta, appunto, le api. O meglio il miele. O ancor meglio, il polline fresco (incredibilmente interessante, raccolto in alta montagna) e l’idromele (antico fermentato di miele, in questo caso di tre tipologie: acacia, girasole e stachis) forniti da Giorgio Poeta, che sta a Fabriano. Incontrano il Buccarello del Caseificio Piandelmedico, formaggio di latte di bufala mediamente stagionato: quest’ultimo «va bilanciato col latte, poi s’aggiungono l’addensante e gli zuccheri, l’insieme finisce nella mantecatrice. Aggiungiamo gel e polvere di camomilla, del miele con una polvere grattugiata di pigne fresche, una meringa all’idromele, fiori, polvere di yogurt e polline di rovo e di quercia pressato», uno spettacolo. Sapido, dolce, note di cera, «non è il gelato che avete in testa».
Accompagnato sul palco da Gabriele Tangari, ecco poi Paolo Brunelli, “gelatiere, cioccolatiere, manipolatore di cibi dolci”, come si definisce. È il terzo e ultimo profeta in patria, a Senigallia dal 2015 e fresco di apertura: Paolo Brunelli Combo, il suo secondo locale, a Marzocca, è per il celebre gelatiere «un ulteriore passo per il gelato contemporaneo, che guarda al futuro e deve poter essere proposto tutto l’anno. Un gelato che può essere oggetto di discussione e degustazione, come un grande piatto», senza essere snaturato, bensì contaminato o proposto in pairing. A Senigallia Brunelli ha presentato il “mosciolo-Verdicchio”, un sorbetto di Verdicchio e mandarino tardivo di Ciaculli, con un po’ di zucchero di canna, sorta di sgroppino con incastonato il mosciolo. Ma il piatto forte è un altro: un panino gourmet al gelato con paccasassi, sorta di puntarella marina tipica del Conero, alici, pepe di Sichuan, formaggio olandese e un sorbetto realizzato con cioccolato Inspiration Valrhona al lampone (al 20%) e peperone grigliato.
La sua prima realizzazione sul palco deriva dal ricordo («Una parte fondamentale») e valorizza il mosciolo selvatico di Portonovo, presidio Slow Food marchigiano. In parallelo con l’abbinamento ostriche-Champagne, ecco il “mosciolo-Verdicchio”; Brunelli conviene che come nome non è granché, ma al palato convince: in sostanza si tratta di un sorbetto di Verdicchio e mandarino tardivo di Ciaculli, con un po’ di zucchero di canna, sorta di sgroppino con incastonato il mosciolo. Ma il piatto forte è un altro ed è legato al progetto Combo. Premessa: «Il punto debole del gelato è che si consuma soprattutto d’estate e pochissimo a pranzo». Ecco invece un panino gourmet al gelato (Brunelli ne ha già realizzati altri: panino con mortadella e sorbetto al pistacchio, panino alla robiola di Roccaverano e gelato alla nocciola…): questo prevede paccasassi, sorta di puntarella marina tipica del Conero, ricorda la salicornia; poi alici, pepe di Sichuan, formaggio olandese e un sorbetto realizzato con cioccolato Inspiration Valrhona al lampone (al 20%) e peperone grigliato. Il tutto in un panino apposito, senza sale. Assaggio: golosissimo. Dice Brunelli: «La differenza tra gelatiere moderno e quello vecchio stampo è la seguente: quello moderno deve ragionare prima come un matematico, poi dimenticarsi i numeri e ragionare anche come uno chef».
Senza scordarsi il passato e i sapori (di gelato) di una volta. Così Brunelli giù dal palco prepara per tutti un gelato gusto malaga, tra quelli che non si trovano ormai quasi più, al pari di cassata, amaretto, spagnola, torroncino… Da mangiarne ancora e ancora.
Classe 1981, milanese, Marco Pedron non è né chef né gelatiere, come i relatori che l’hanno preceduto. È pasticcere, ma non uno qualunque: è il pasticcere di Carlo Cracco, regna insomma su un laboratorio da 130 metri quadrati vista Galleria Vittorio Emanuele che fornisce il pane al ristorante gourmet e i dolci al bistrot, al format Carlo e Camilla, poi anche tutti i lievitati cosicché lui viene da mesi molto intensi, «durante il lockdown la nostra piattaforma online è esplosa, tantissimi ordini». Si stanno attrezzando per assecondare il successo: «Presto avremo un’area apposita, un laboratorio al terzo piano dedicato esclusivamente ai lievitati». Per la sua preparazione a Identità di GCarlo Cracco e Rosa Fanti, marito e moglie, hanno acquistato un podere delle meraviglie, dal quale arriva frutta fresca, olio buono e tanto altro. Racconta il pastry chef: «Là ho trovato una ciliegia tipologia Samba, molto interessante. È una sorta di primizia di tarda primavera, ne abbiamo pastorizzata e poi congelata la polpa per poterla utilizzare anche oggi». Come? L’idea è venuta ad Alessandro Troccoli, maître del ristorante: una pizza. Pardon? Sì, una pizza dolce con un sorbetto alla ciliegia al posto del pomodoro. Pedron ha elato, intanto Pedron ci conduce però fuori Milano, a Santarcangelo di Romagna, dove creato una sorta di stracciatella che è in realtà panna semimontata con pezzetti di mascarpone «che rimangono in sospensione come fossero mozzarella». Ha cambiato un poco l’impasto della pizza originaria, usando Petra 5; l’ha vetrificato, ossia cotto da entrambe le parti per ottenere una caramellizzazione croccante. Sopra, ecco la finta stracciatella, il sorbetto di ciliegie (in parte lasciate a pezzettoni. In altra parte micronizzate e aromatizzate con gocce di barolo chinato, acidulato di umeboshi, aceto di ciliegie e albana di Romagna), nonché foglie di calypse, pianta brasiliana, «ricordano la ciliegia acerba». Infine polvere di ciliegia, acetosella e pistacchio. «Sono un pasticcere che vive dentro una cucina, così subisco mille contaminazioni, un continuo frullare di idee che si intersecano tra di loro».
Dalla ciliegia all’amarena, con Iginio Ventura, che faceva l’orafo a Peschici ma poi ereditò la gelateria della nonna e s’è appassionato, andando alla riscoperta delle varietà e dei gusti della frutta del suo territorio, spesso dimenticati. Dice: «Voglio recuperare sapori del passato che non avevano valore, erano cibo per i poveri, quindi sono stati spazzati via dalla standardizzazione e oggi sono chicche straordinarie, fuori dei circuiti della grande distribuzione e ormai rarissime da trovare». Come l’amarena, «che pure non è tipica delle mie zone» e peraltro in gelateria non è quasi mai proposta in purezza. Lui lo fa, con esiti straordinari, aggiungendo l’amaretto sbriciolato di Rocco Monaco da Vico del Gargano e profumi naturali della sua terra, erbe come rosmarino, menta selvatica, origano e timo. «Ho scelto di proporvi qualcosa di molto semplice ma che va all’essenza, al cuore del sapore. Voglio essere il più fedele possibile all’originale». Semplicità non vuol dire banalità, «c’è un saliscendi di sapori», si sente subito il dolce, poi l’amaro, poi di nuovo il dolce…». E c’è anche un segreto che rende tale sorbetto fantastico. Deriva da un’estrazione a freddo delle amarene, in parte denocciolate e in parte con il suo seme che, come fosse un’armellina, dona note suadenti, sinuose, «così senti tutto: il legno, il seme, il succo, la polpa». Altra particolarità: normalmente un gelato prima viene consumato e meglio è; in questo caso l’ideale è invece farlo riposare una notte, «si tratta di uno di quei gusti che hanno bisogno di attesa perché possano esprimersi appieno». Il laboratorio Pinagel di Ventura è in questo momento chiuso per lavori, ma lui propone otto gusti sulla sua Ape Car. Pochi? Anche quando riaprirà il locale, si spera a metà agosto, non saranno più di 16, «perché la qualità vince sulla quantità. E poi bisogna educare il cliente a scegliere bene».
Bergamasco, classe 1982, Stefano Guizzetti è una sorta d’opposto di Ventura, anche se i risultati li accomunano, vale a dire una totale purezza del gusto. D’altra parte ha una laurea in Agraria con tesi sulla chimica del gelato… Si propone di realizzare sapori che sappiano far tornare alla mente situazioni, ambienti; per dirla con le sue parole, «solleticare ricordi esperienziali legati alla componente olfattiva di qualcosa non di edibile, ma che fa parte del nostro vissuto». Ossia? «Ad esempio, sto studiando un gelato che evochi il profumo dell’aria prima di un temporale». Lavori in corso, insomma. Frattanto, propone tre assaggi più uno. Il trittico iniziale ha i seguenti sapori: fieno, foglie di fico, sentori di bosco. Spiega: «Giocare coi profumi nel gelato è difficile, perché in genere è semmai il caldo a valorizzare la componente olfattiva». Ma lui ci lavora duro, «uno dei primi gelati che realizzai, molti anni fa, fu un sorbetto all’uva fragola. Mi rimandò automaticamente con la memoria alla casa dei nonni. Da allora mi dedico proprio al ricordo». Il gelato al fieno, come gli altri a base lattica («Perché i grassi fanno da conduttore aromatico») deriva da un’estrazione a freddo di erba medica, «volevo raccontare il territorio in cui vivo, le colline parmensi, con il loro odore di foraggio». Secondo assaggio: gelato alle foglie di fico, «vi porto così in una sera d’estate, sotto una bella pianta di fichi». Terzo, il sottobosco, che lui ottiene con un infuso di cortecce di abete, «raccolte quando c’è più linfa e da alberi grandi, più aromatizzanti. Ecco allora il terroso, l’umido». Ma il fuoco d’artificio è alla fine: gelato barricato. Nel senso di una base di gelato al latte “stagionato” per una settimana a 65° a contatto con legno nuovo di rovere tostato a fiamma, «il calore fa da catalizzatore di estrazione aromatica». È un capolavoro: si sentono note di rum, vaniglia, caffè, liquirizia, caramello… Non solo idea eccezionale, ma anche prova provata di quanto sia fertile il terreno di ricerca che Guizzetti ha inaugurato.
Gran finale con Corrado Assenza. Eleonora Cozzella, che ha duettato sul palco con i sette relatori per l’intera giornata con la consueta brillantezza e competenza, gli ricorda una sua (intendiamo: di Assenza) frase celebre: «Non esiste il cuoco “salato” di qua e il pasticcere di là perché la natura stessa non è dolce o sapida: queste sono categorie che applichiamo noi umani, in maniera del tutto arbitraria, alla cucina e all’ordine delle pietanze». Lui conferma la paternità del concetto ma lo sviluppa: «Esiste la capacità dei professionisti – e non solo la loro – di utilizzare appieno i propri sensi e di mostrare sensibilità rispetto a quello che ci circonda e che esiste a prescindere da noi. Insomma: siamo nel medesimo tempo un termometro della natura, e natura noi stessi. Quindi non c’è opposizione in un cuoco tra sale e zucchero, come non c’è neanche in un pasticcere; sono dimensioni interconnesse. Se invece si fosse contrasto, sarebbe quasi una lobotomia rispetto alla capacità critica di indagare la natura, cogliendo il meglio di (e da) essa e portandolo nella nostra dispensa». Concettualizzazione di una proposta “storica” che Assenza presentò già a Identità Golose 2006, stregando i presenti con una Granita di mandorle, ostriche e peperoncino. «A quel tempo – ha in seguito sottolineato Paolo Marchi– non si aveva piena coscienza di quanto si sarebbe rivelata forte la necessità di ripensare l’universo di coni e coppette, ma anche di gusti e consistenze, pensati per la ristorazione. Da allora l’indagine sul mondo del gelato non si è più fermata». Il grande Corrado riparte allora da lì, dalla famosa granita, che arriva all’assaggio a Senigallia come tributo a un momento al quale far risalire il venire meno dei muri che separavano la gelateria dall’alta cucina. «La proposta – spiega Assenza– era ed è legata dalla dolcezza nascosta nella sapidità marina dell’ostrica, che sa di cocomero» e si abbina perfettamente all’altra dolcezza, mai eccessiva, della granita di mandorla romana di Noto, caratterizzata peraltro da una nota di amaro sua propria e da un’alta percentuale di materia grassa, il 60%. «Questo rende tale mandorla perfetta per gli abbinamenti» con sfumature gustative apparentemente diverse, come l’ostrica appunto (c’è poi il piccante del peperoncino, «input per far emergere le note comuni dolci-salate»). Assenza rievoca un’altra sua lezione a Identità Golose, quella sui mitici gelati di carne («Ancora attendono che qualcuno li interpreti. Quindi lo farò io») prima di raccontare la sua nuova proposta: Sorbetto di amarena, emulsione di peperoni grigliati, ricci, tarantello di tonno rosso, salsa di pomodori grigliati. Spiega: «Pomodoro, peperone e amarena non legano particolarmente tra di loro. Ma tutte stanno molto bene col tonno ed esprimono dolcezze diverse», che quindi le porta insieme a braccetto. Nella salsa di pomodoro, Assenza mette l’intero frutto; l’emulsione è realizzato al 30% con la polpa peperone e al 70% con la sua acqua rilasciata con la grigliatura, più i ricci. E l’amarena? «È un problema, se ne trova poca, non più a Noto ma sull’Etna. Me le fornisce Sebastiano Scandura. Se le frullassi perderebbero intensità di sapore e colore. Allora riattualizzo un procedimento antico: trattamento termico a 110° in forno ventilato col 50& di umidità per 6 o 7 minuti. Riceve la quantità di calore pari a quella che riceveva nei vasi di vetro esposti al sole che preparava la mia mamma, gliel’aveva insegnato la sua mamma» e così via a risalire. Emulazione contemporanea di un processo antico e non più riproducibile perché non compatibilecon le normative; ossia, esempio perfetto di retroinnovazione.
Identità di Gelato è stata voluta e organizzata da Identità Golose con la partnership di Motor Power Company, l’azienda di Castelnovo di Sotto (Reggio Emilia) attiva nell’ambito dell’automazione industriale e della robotica. Che c’entra con il gelato? Lo ha spiegato Christian Grandi, managing director dell’azienda: «Tutto nasce dalla nostra curiosità: ci siamo chiesti come le nostre tecnologie potessero essere messe al servizio dei gelatieri. Cercavamo risposte innovative applicabili a un mondo apparentemente molto distante dal nostro». Ne è nata Principessa, una macchina mantecatrice «che replica l’operato dell’artigiano gelatiere ma con un processo automatizzato, flessibile e attento all’ambiente. Ossia: l’arte della gelateria portata nella tecnologia contemporanea».
Chiudiamo con la promessa del vicesindaco di Senigallia, Maurizio Memè, «questa è stata la prima edizione di Identità di Gelato. Ma abbiamo già stabilito di averne qui da noi almeno tre».
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