Ci vogliono tempra e tenacia per assaggiarli tutti. I quattordici succulenti tagli di carne s’intende. Quelli proposti da un ristorante divenuto ormai un punto di riferimento per la cucina brasiliana a Milano: il Picanhas. Perfetta commistione di senso urbano (viste le scale mobili per accedere all’ingresso) e atmosfere tropicali (merito delle piante e delle pareti-jungle). Una churrascaria dall’anima raffinata e rilassata, dove cenare seguendo sul grande schermo le prossime Olimpiadi di Rio, mentre in sala la sfida corre lungo gli spiedi. Che girano e rigirano scoppiettando in orizzontale sulla carbonella. Per divenir protagonisti del rodízio, ancestrale rituale "all you can eat" che esige il taglio della carne in verticale, direttamente nel piatto. La difficoltà? Riuscire ad arrivare al traguardo: l’ananas grigliato (profumato alla cannella e zucchero di canna), passando con grinta da boccone all’altro. Il bello? Avere la possibilità di assaporare in successione tante tipologie di carne, scoprendone differenze e virtù.
Ecco allora lei, la picanha, il codone di manzo, da cui mutua il nome il ristorante. “Su ogni spiedone stanno cinque o sei pezzi, da un chilo ciascuno”, spiega l’attento direttore Alcimar Alexandre Maraschin. Ma ecco pure la fraldinha, la maminha e la costela de boi (diaframma, spinacino e costata di black angus), la chuleta e l’alcatra e il cupim (controfiletto, scamone e coppa di manzo) e il lagarto recheado (magatello ripieno di formaggio e maiale). E ancora la linguiça (salsiccia) e il frango (coscetta di pollo), la costela de porco (costina di maiale) e il presunto (prosciutto cotto alla griglia), il peru com bacon (tacchino e pancetta) e la picanha baby (la punta del codone, morbida e saporita). E su richiesta? Coração de frango (cuoricini di pollo).
Il tutto da accompagnare a pão de queijo (soffici panini al formaggio), polenta, tapioca e banane fritte, nonché a una salsa agrodolce chiamata molho canpanha, a base di peperoni rossi, gialli e verdi. Non certo dimenticando riso, feijoada e farofa (a base di farina di manioca e pancetta), serviti a buffet. Insieme a una caleidoscopica proposta più international. Mentre nel calice finisce rigorosamente la Caipirinha, preparata con la tipica cachaça brasiliana. “Quella bianca è ottima per i drink. Ma ce n’è anche una barricata, ideale da meditazione, alla stessa stregua della grappa”, suggerisce mister Maraschin. Che per la cantina di vini ha preferito selezionare aziende italiane. “Del resto, se noi brasiliani siamo forti sulla carne, gli italiani lo sono sul vino”, dice. Nel rispetto delle eccellenze.
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