Grande Cucina

Inaugura Vinitaly 2022

Con questo articolo Licia Granello inaugura la sua collaborazione con Grande Cucina.

Se cinquantaquattro vi sembran pochi. Il Vinitaly comincia oggi la sua avventura negli anni ’20 del terzo millennio, oltre mezzo secolo dopo la sua prima volta. Allora – era il 1967 – si chiamava “Giornate del vino italiano” (sarebbe stato battezzato Vinitaly solo quattro anni più tardi) e prevedeva poco più di una pudica esposizione di bottiglie.

Alla fine degli anni ’60, sulla scia del boom economico, il vino tentava il primo, timido cambio di passo, da robusto integratore calorico quotidiano a complemento di qualità. Cinquant’anni per dimezzare abbondantemente il consumo – in Italia, da oltre cento litri procapite annui a poco più che quaranta – ma soprattutto per promuovere il vino a oggetto del desiderio senza frontiere.

Uno status che i due anni di pandemia hanno dilatato e diversificato: tra lockdown e depressione da Covid, regalarsi un buon bicchiere – cento volte meglio degli psicofarmaci – è passato da piacere a consolazione, pur senza rovinare le statistiche che ci annoverano tra i bevitori tutto sommato moderati.

Vinitaly 2022

Il nuovo Vinitaly si agita in uno spazio e in un tempo piuttosto complicati. Lo spazio dovrebbe essere quello del mondo intero, che ha imparato ad amare le nostre bottiglie grazie al lavoro prezioso di alcuni bravi importatori appassionati, ma soprattutto al coraggio (e alla resistenza fisica) di cento produttori indomiti, trasformatisi negli anni in tanti ragazzi/e con la valigia.

Mille degustazioni per raccontare il “piccolo&bello” dell’italian wine da una parte all’altra del pianeta, cercando in faticosa solitudine il giusto varco per entrare sui nuovi mercati, visto il supporto a singhiozzo delle istituzioni preposte al commercio estero. Un mestiere nel mestiere ridotto ma non azzerato dalla pandemia, a costo di infiniti tamponi, quarantene e certificati. Impegno ancora più difficile e delicato in questo tempo, che il coinvolgimento nella guerra in Ucraina ha reso davvero precario, e che si traduce (anche) in quote importanti di export a rischio.

Ma il compito delle fiere è proprio questo: promuovere, interconnettere ed esibire là dove lo sforzo individuale non arriverebbe mai. Per questo il Vinitaly che torna in presenza – pur con l’obbligo della mascherina quanto meno chirurgica – è una tappa magnifica e imperdibile. Lo era forse anche prima, dato il primato internazionale certificato dai numeri delle edizioni pre-Covid. Ma oggi è come riemergere (con la cautela e i distinguo del caso) da un brutto sogno o da un’apnea prolungata e aver voglia di luce e colori, sapendo che rimboccandosi adeguatamente le maniche si possono ritrovare.

Il programma 

Non a caso, il programma è denso come non mai, fra incontri, assaggi, convegni e un elenco infinito di micro & macro eventi connessi. C’è la politica – sperando non sia solo passerella – e ci sono i produttori, le donne del vino e l’associazione enologi, il mondo degli abbinamenti e quello del biologico & biodinamico, l’extravergine e la birra, i distillati e la mixology. C’è il supporto umanitario alla guerra in Ucraina, assicurato dagli incassi dei tasting di Veronafiere e dall’asta #viniperlapace, battuta da Sotheby’s.

E c’è, mai come quest’anno, un ricco fuori-fiera, il Vinitaly & The City, pari grado dei celeberrimi fuori-salone milanesi e del Wine&the City napoletano (già costola di Vitigno Italia).

Un bel modo di aprire le porte del Vinitaly alla città, proponendo concerti, passeggiate, presentazioni di libri e masterclass a cielo aperto, con tanto di degustazioni guidate in cima alla Torre dei Lamberti. Pronti alla ripartenza, insomma. Possibilmente con un paio di scarpe comode ai piedi e le tasche piene di sorrisi.

Bentornato, Vinitaly.


In apertura: facebook.com/vinitalyofficial

a cura di Licia Granello