Lo chef stellato si racconta, dal successo nel Principato al tema dello staff, fino a quello della burocrazia nostrana.
Ha 37 anni ed è originario di Guardia Perticara, paesino che conta poco più di 500 anime in provincia di Potenza. Antonio Salvatore è lo chef che ha fatto innamorare dei prodotti del Sud Italia il Principato di Monaco e che a marzo ha confermato per la terza volta la stella Michelin nel ristorante a cui dà il nome: La Table D’Antonio Salvatore.
L’intervista allo chef Antonio Salvatore
Quanto è stato lungo il percorso che dalla Basilicata l’ha portata nel Principato di Monaco?
A 13/14 anni anni la ristorazione rappresentava per me un’occasione per guadagnare un po’ di soldi. Così frequentavo l’alberghiero a Potenza d’inverno e andavo a Rimini per la stagione estiva. Poi Londra, Canarie, Spagna, Russia, ho lavorato con Juan Pablo Felipe, stellato Michelin a Madrid, in un momento di grande fermento per la cucina spagnola. Nino Graziano mi ha lasciato gestire Semifreddo-Mulinazzo a Mosca, sempre a Mosca sono stato il cuoco dell’ambasciata italiana. Infine sono approdato nel Principato nel 2016 come executive chef patron del Rampoldi, un ristorante che vanta 75 anni di storia ma che era stato chiuso per un po’, dove propongo la mia cucina italiana in una chiave tradizionale. Nel 2020 è nato il progetto La Table Au Rampoldi, il ristorante dove creo piatti in stile New Monegasque, in cui mescolo materia prima del Sud Italia a qualcosa di locale, in cui la cucina delle mie radici incontra quella francese. La stella della Michelin è arrivata a pochi mesi dall’apertura.
Come si coniugano a tavola Francia, Monaco e Italia?
Benissimo. Io uso moltissimi prodotti e cucino molti piatti del Sud: dal provolone del monaco ai peperoni cruschi, dal polpo alla Luciana al risotto alla Nerano, ma sono accanto alla Liguria, è da lì che faccio arrivare il basilico, e sono anche ai confini con la Francia e devo tenerne conto.
E come fa?
Vi faccio l’esempio del mio burro all’italiana che servo a La Table. Il burro francese è emulsionato con il nostro olio, lo stendo dandogli la forma del nostro stivale e aromatizzo ogni regione con un prodotto tipico. Con lo zafferano la Lombardia, con il tartufo il Piemonte, con il pesto la Liguria, con il pecorino la Sardegna. Poi servo un buon pane caldo di Matera su cui i commensali possono divertirsi a spalmare il burro. Anche la mia carta dei vini è ben assortita. Accanto ai grandi francesi ci sono le Cantine del Notaio o Mastroberardino, gli Aglianico o i Primitivi di Manduria.
Che tipo di clientela avete?
Premetto che per me l’abito non fa il monaco ma lo distingue, che da me sono tutti benvenuti e che il mio tipo di ristorazione accontenta tutti, però è chiaro che a Montecarlo arriva un certo tipo di clientela, per lo più alto spendente. Da noi il principe viene 5 volte all’anno, qui passano ambasciatori, presidenti, attori. Tutte le personalità che arrivano a Monaco approdano anche qui.
Anche a Montecarlo avete problemi di personale?
Io ho mantenuto la mia squadra anche durante il Covid, per me è come una famiglia. I giovani hanno una gran voglia di lavorare, hanno solo bisogno di essere motivati e di crescere. Io cerco di dare loro delle opportunità. Penso che chi si è trovato senza staff è perché non è riuscito a valorizzare le persone. Oggi il mondo è cambiato e siamo noi a doverci adeguare alle esigenze dei giovani, non loro a noi. A chi mi dice che io non ho problemi perché a Montecarlo gli stipendi sono più alti, ricordo che qui la vita è anche molto più alta. Per gli affitti non si trova nulla a meno di 1000/1500 euro al mese.
Tornerebbe a lavorare nella tua terra?
Ci ho provato. La troppa burocrazia mi ha fatto desistere. Chissà però che un giorno, magari a Milano, non riesca a trovare una situazione a me congeniale.
In apertura: foto di Iulian Giurca Caroli
a cura di Lydia Capasso
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