Jeunes Restaurateurs d'Europe allarga il proprio comitato direttivo con due nuovi membri: l'olandese Rik Jansma e uno chef di casa nostra, Daniel Canzian che, a decorrere dal 2019, entrerà a far parte del board europeo dell'associazione.
a cura di Roberto Magro
Canzian fa parte di quella generazione di cuochi giovani, è un under 40, che hanno fatto in tempo a lavorare a fianco di Gualtiero Marchesi, lui probabilmente più di tanti altri per il numero di anni trascorsi accanto al Maestro. Una vicinanza professionale che è continuata anche nell’ultimo periodo, in cui ormai aveva smesso di lavorare per il ristorante del Signor Marchesi, come amava chiamarlo.
Da quasi cinque anni Daniel guida un proprio ristorante di cui, oltre ad essere chef, è anche proprietario e queste due caratteristiche, assieme al requisito dell’età, gli hanno consentito nel 2017 di entrare a far parte dei JRE.
Un’elezione quella di Canzian che rappresenta un po’ anche un riconoscimento per il sistema Italia e per un cuoco ancora più italiano di altri, se possibile. Per la passione per l’ingrediente, locale innanzitutto, e per l’imprinting marchesiano che lo porta a valorizzare la nostra cucina ma in chiave moderna, gli influssi esteri presenti sono solo spunti ma mai il motivo dominante. La definizione che lui stesso ha dato al suo locale di “cucina italiana contemporanea” è un’espressione in continuità con la “nuova grande cucina italiana” di Marchesi.
Adottato da Milano, non ha dimenticato le proprie origini venete che ritornano con qualche citazione nei suoi piatti.
Lo abbiamo intervistato all’indomani di questo riconoscimento: spirito di squadra nazionale ma anche europeo, apertura al confronto e al dialogo con le cucine di altri Paesi e valorizzazione del nostro patrimonio, alcuni degli interessanti spunti delle risposte.
D: All’indomani di questa elezione hai dichiarato che “una squadra ottiene risultati migliori del singolo”. Ultimamente abbiamo avuto esempi di lavori di squadra, a livello di chef italiani: basti pensare al Bocuse d’Or o al tifo calcistico quasi da nazionale ai mondiali, che si è respirato a Bilbao alla serata di The 50 Best World’s Restaurants. Credi sia finalmente arrivato il momento storico in cui anche noi italiani riusciamo davvero a fare squadra? O continuiamo a essere un paese di talenti spesso individualisti? E come pensi di contribuire a cambiare le cose, da italiano, in questo nuovo incarico europeo?
R: È sicuramente arrivato il momento che l’Italia impari a fare sistema e questo non può avvenire solo quando ci sono vittorie, deve avvenire in modo ancora più marcato quando le vittorie mancano ma l’intero sistema ha bisogno di sostegno. Questo non vuole dire che dobbiamo abituarci alle sconfitte ma che, semmai, dobbiamo imparare a tutelare e difendere il nostro patrimonio sempre. Nell’associazione JRE mi è stata però affidata una mansione che va al di là dell’appartenenza a una nazione: in questo caso dovrò pensare da europeo in Europa e non solo da italiano e sono certo che sarà un bene, perché di conseguenza, ne trarrà giovamento anche l’Italia, come avviene in una vera squadra.
D: Tu che probabilmente l’hai conosciuto meglio di tanti altri, cosa credi ti direbbe il Maestro Marchesi se fosse qui oggi?
R: Penso che mi inviterebbe ad un costante confronto con le altre nazioni europee perché è solo dal confronto che possono avvenire crescite culturali e intellettuali. Lui è stato il primo, insieme a Toni Sarcina, a cimentarsi in costanti confronti già negli anni 80. E non è un caso che, in quegli anni, molti grandi chef del panorama gastronomico europeo visitassero spesso l’Italia e le sue grandi cucine.
D: Questo riconoscimento arriva a cinque anni dall’inizio della tua impresa da solista, che ti ha dato anche i requisiti per entrare in JRE, oltre all’età. Facendo un primo bilancio come ti senti cambiato? Che percorso credi di aver intrapreso? e soprattuto cosa hai imparato di nuovo in questi anni, che non immaginavi prima, nella nuova posizione di chef e patron assieme?
R: Sento di aver raggiunto una piena consapevolezza di quella che è la realtà aziendale ristorativa oggi e anche piena consapevolezza di quelle che sono le mie caratteristiche professionali. La certezza più grande che penso di aver raggiunto (e per questo devo ringraziare proprio il sig. Marchesi), è ben riassunta nella frase “La tradizione italiana non è un patrimonio che si possa tranquillamente ereditare: chi vuole impossessarsene deve conquistarla con grande fatica”. Ecco perché da ormai un anno utilizzo nella mia cucina solo prodotti di origine italiana. È proprio grazie a questa maturità di pensiero che mi sento pronto a svolgere un compito europeo per contribuire a un’Associazione europea di cuochi: questo non vuol dire fare il portavoce dell’Italia, ma da membro Jre e mi sento in dovere di mettermi al servizio di una visione ampia dell’Associazione che ci riguarda tutti come un unico grande gruppo di ricchezze individuali. Questo perché penso che dal mondo della gastronomia europea si possa imparare molto, come italiani: per esempio credo che dovremmo acquisire la capacità di ragionare a lungo termine per pianificare il futuro della nostra tradizione gastronomica e imparare a fare squadra, per permettere alle realtà artigianali di emergere al meglio attraverso la collaborazione.
D: Adesso che politicamente l’Europa ha perso smalto, soprattutto in Italia, pensi si possa riunire in cucina?
R: Non mi occupo di temi politici perché non è il mio mestiere ma posso ribadire che, gastronomicamente parlando, l’Italia gourmet debba avere meno inibizioni e più orgoglio nel presentare uno spaghetto alla carbonara in menu. Un tema che mi sta a cuore è infatti quello della trattoria italiana, la cui cucina è storicamente “pesante” e per questo sta per essere sostituita dagli all you can eat o dai fusion restaurant. Lo ritengo un vero spreco. Ogni realtà gastronomica deve avere il suo spazio e per conservare quello della nostra tradizione i cuochi italiani, oggi, devono difendere, attualizzare e internazionalizzare la trattoria in maniera corretta, contemporanea e costruttiva. Ecco perché fin dal 2013 ho voluto descrivere il mio ristorante come “cucina italiana contemporanea”. Per esserlo, tutte le cucine, anche e soprattutto quelle della trattoria di stampo italiano, hanno bisogno di confrontarsi in maniera costruttiva con l’Europa e allo stesso tempo ri-acquisire una dignità che sappia elevarle al di sopra della banalità della proposta gastronomica a cui troppo spesso l’ideale popolare le condanna. Anche per questo all’Italia sarebbe utile imparare da quei Paesi in cui il cibo della tradizione viene valorizzato; allo stesso modo, anche l’Italia ha spunti importanti da offrire agli altri. Ritengo infatti che nessuna nazione, oggi, in Europa, sia perfetta ma questo non vuol dire chiudere le porte a un dialogo che deve essere portato avanti per il bene di tutti e deve garantirci un arricchimento sociale comune.
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