Abbiamo incontrato Raffaele de Mase nel suo ristorante Tosca, all’interno del Relais et Château Hôtel Speldide Royal di Parigi.
Sarebbe stato facile immaginare il racconto di un percorso di successo come il suo: la scuola alberghiera a Napoli, la crescita in cucine prestigiose e infine l’approdo a Parigi, citta in cui Raffaele de Mase è considerato uno degli chef più stimati e conosciuti, sebbene lontano da social e riflettori.
Nel quartiere forse più stellato di Parigi Tosca offre piatti splendidi, una cucina solida nei sapori e nelle tecniche senza se e senza ma.
E invece con Raffaele ci siamo trovati a riflettere su cosa significhi essere chef nel 2024 verso la propria brigata: un percorso che parte dall’incontro di un maestro e che termina con il diventare maestro di altre generazioni.
Apprendere e insegnare un mestiere, l’orgoglio della casacca come divisa.
Intervista a Raffaele de Mase
Nel caso di Raffaele i maestri sono stati: Ludovico D’urso alla Scuola alberghiera Michelino Gioia al La posta Vecchia Hotel (ora al Pellicano), Salvatore Bianco, Heinz Beck.
“Da piccolo ero affascinato dalle divise bianche: diventare un leader, avere e sentire la responsabilità di una squadra. A Napoli due erano le divise bianche: quelle della marina e quelle del cuoco, la cucina ha avuto il sopravvento”. La divisa portata con orgoglio, come la maglia della squadra del cuore, l’appartenenza ad un gruppo.
Il secondo tema che Raffaele affronta è come poi imparare davvero il mestiere dopo la scuola alberghiera. Non la corsa a scrivere sul CV una serie di ristoranti dove bisogna essere passati perché fanno “bling-bling”, dove tanti entrano ed escono come per una porta girevole senza veramente capirne la cucina. “Ogni posto dove sono stato e rimasto a lungo è sempre stato il frutto di una scelta consapevole: con Michelino Gioia, che mi aveva affascinato per l’approccio all’estetica del piatto e la comprensione della potenzialità di ogni ingrediente, ho veramente imparato l’organizzazione della cucina. Un metodo che ancora oggi mi è prezioso”.
Prosegue poi: “Con Salvatore Bianco ho vissuto appieno l’importanza della tecnica. Una magnifica ossessione che nasce in realtà dalla curiosità di capire l’ingrediente. Heinz Beck è stata la scelta della maturità professionale. A 31 anni ero consapevole di poter affrontare le esigenze di una cucina tristellata. Ricordo di quel periodo il silenzio in cucina e l’essere in scena”.
E questo filosofia di crescita professionale è quella che permette oggi a Raffaele di proporre una cucina con base italiana ma la cui costruzione la rende molto adatta al pubblico parigino sempre alla ricerca della complessità nel gusto. Ora Raffaele assume pienamente il suo ruolo a sua volta di maestro e infatti é forse uno dei pochi chef che ci dice di non avere problemi ad assumere personale.
Conclude: “Il clima in cucina è buono, lo staff in cucina è interamente italiano e così i cv ci arrivano grazie al passaparola. La struttura inoltre si occupa di alloggiare i ragazzi ed assisterli in tutte le procedure burocratiche e questo fa la differenza. Da noi si sta bene”
Come descriverebbe la sua cucina? “3, massimo 4 elementi in ogni piatto. Amo i profumi agrumati e il risotto di cui trovate la ricetta ne è un esempio con il lime filo conduttore tra lo scampo e la zucca”.
Chiuso il cerchio da allievo a maestro. Una delle più belle tavole del quartiere stellato dell’Eliseo.
a cura di Maria Greco Naccarato
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