Karime Lopez è la dolcezza del suo italiano dal retrogusto messicano. È la chef * Stella Michelin che trovate a Firenze, in Piazza della Signoria, nella Gucci Osteria da Massimo Bottura, al piano terra del palazzo della Mercanzia. È lì il Gucci Garden con l’archivio della maison fiorentina, lo spazio museale, la boutique, e appunto il ristorante da 35 coperti.
Lei è l’unica messicana ad essersi cucita sul petto quella stella, l’unica al mondo. Lei, che arriva dalle cucine dell’Osteria, ed è la sposa di Taka Kondo, il sous chef di quel Bottura che tutto il mondo ci invidia. Crede fermamente che il lavoro in cucina debba essere etico, nel senso che deve rispettare i tempi dei ragazzi che in quella cucina ci passano una vita intera. E crede che la bellezza vada rintracciata nella semplicità, degli ingredienti da rispettare sempre, nella Tostada di Palamita che ricorda tanto casa o dei bun cotti al vapore con pancia di maiale e salsa piccante. Li ha chiamati Taka Buns, un omaggio all’amore, il suo. Karime è una chef che mai, neppure per un solo istante ha dimenticato di essere prima di tutto una donna.
Karime, come sta? Come è andato il lock down?
Bene. Siamo ritornati, e questa già è una buona notizia. E siamo ritornati più carichi di prima. Penso che per chi fa questo mestiere, una fase di chiusura completa sia stata, tragedia a parte, una grande opportunità. Per trascorrere ad esempio più tempo con mio marito, vivendo una quotidianità a cui non siamo mai stati abituati, ci siamo concessi dei lussi che per la maggior parte delle persone sono la normalità, riposare, mangiare seduti con calma, avere tempo per parlare con gli amici. Dal punto di vista lavorativo poi, il lock down ha naturalmente lasciato dei segni, come per tutti.
La sua famiglia vive in Messico. Com’è lì la situazione?
La situazione purtroppo è molto difficile e sono preoccupata per la mia famiglia, ho raccomandato loro di essere cauti, di non uscire.
Che rapporto avete con il delivery?
Abbiamo portato avanti un concetto diverso dal classico delivery. Si chiama Picnic Around the World e si tratta di quattro diversi menù da gustare al parco, in riva all’Arno, a casa o in ufficio: Mediterraneo, Middle East, Latino e Aperitivo italiano. Un progetto in risposta alle esigenze di questi tempi.
Il vostro cliente tipo è passato dall’essere straniero, all’essere italiano.
Cosa è cambiato nel menu e nel vostro approccio?
Abbiamo cambiato tante cose nel menu. Quando abbiamo chiuso eravamo in una stagione che possiamo definire come un inverno “allungato”, ed abbiamo riaperto in estate piena. In questo “nuovo” menu c’è tanta frutta, fiori ed erbe che a gennaio non ci sono. Ed è stato pensato per sublimare i prodotti stagionali e portare una rinascita post lockdown a livello creativo sia a livello energetico. Non a caso, infatti, si chiama “Rinascimento”.
Ingredienti, fornitori, materie prime. Come si riesce a trovare l’equilibrio tra il food cost e la qualità del piatto?
Il food cost è ovviamente una parte fondamentale così come la gestione logistica delle materie prime. Utilizzare frutta di stagione ci permette di avere delle materie prime nella loro massima espressione di gusto e sapore, ma, ovviamente, anche di contenere i costi, cercando poi di conservarle con le giuste tecniche per la stagione a venire in un’ottica di sostenibilità “combinata”, economica e ambientale.
Che vuol dire lavorare in un ristorante come il suo?
Quali sono i requisiti per essere presi in considerazione da lei?
Devi essere molto flessibile, ottimista e aperto a imparare mille cose. Non avevo mai lavorato in un posto così strutturato dal punto di vista organizzativo. Il vantaggio è sicuramente che impari anche a lavorare in un’azienda con dinamiche diverse dalla ristorazione e benefici dell’influenza diretta di un ambiente creativo come il Gucci Garden, dove si respira costantemente l’influenza e l’approccio di Alessandro Michele.
In cucina quanta conoscenza c’è? Quanta tecnica? E quanta tecnologia?
La conoscenza va ampliata giorno dopo giorno, non bisogna mai smettere di imparare. Io spingo sempre verso il lavoro manuale, senza attrezzature particolari. Niente macchine 3D nella mia cucina, per intenderci. La tecnica invece è l’elemento principe. Di quella ne abbiamo tanta. Così come di sperimentazione, che è il trait d’union fra la mia cucina e quella modenese della Francescana.
a cura di di Nadia Afragola
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