La sicilianitudine è un’attitudine. È un modo di essere, di fare e di pensare, con passione e determinazione. È memoria e futuro, visione del passato e coniugazione al tempo presente. È ricordo e rielaborazione, dialettalità isolana e prospettiva italiana. È immaginario e concretezza, liquidità e materia, ruralità e nobiltà, ombra e sole, acqua e fuoco, terra e mare, dolce e salato. È un mondo da sondare e da assaporare. Rimanendo comodamente in poltrona. Anzi, sulle poltroncine di un ristorante come Il Moro, ovattata oasi gourmet capitanata dai Butticè brothers. Che nel cuore di Monza fanno salpare la loro nave per un originalissimo “Viaggio in Sicilia”: tasting menu che conduce giù, oltre la punta dello Stivale. Non perdendo mai la bussola della Brianza.
Voilà l'entrée: Semplicemente Spontaneo. In pratica? Pani cunzatu: pane di tumminia (grano duro siciliano biologico, prezioso del suo germe e molito a pietra naturale dai Molini del Ponte di Castelvetrano) condito con spuma di sarde, polvere-neve di extravergine d’oliva nocellara by Centonze, foglia di basilico fritta e origano. “Sì perché in Sicilia dove c’è ombra c’è origano”, spiega Antonella, regina della sala insieme al fratello Vincenzo, mentre Salvatore officia in cucina. E poi, arriva la Parmigiana rivisitata: la melanzana e l’abbondanza dell’acqua. Rilettura quasi liquida di un grande classico, in cui l'ortaggio vessillo di Trinacria sublima in crema, incontrando il gelato di gambero rosso, l’estratto di pomodoro e la croccantezza di una cialda di parmigiano reggiano di 36 mesi.
Della serie, mutano le consistenze e i contenuti si fanno ancora più intensi. Come accade per la Dolcezza verde: polpo (cotto a bassa temperatura e poi passato in plancia), composta di cipolla di Giarratana (Presidio Slow Food), crema di piselli e cipollotto in agrodolce. Mentre il Maggio mangiare (da provare anche a giugno e a luglio) fa uno swing fra Sicilia e Lombardia: carnaroli Riserva San Massimo (della pavese Gropello Cairoli), purea di favette, pesce spada, pancetta La Collinetta di Marco d’Oggiono e burro acido al limone. Un risotto dalle note agrumate-fumé, fiero di cedere il passo al Focu di ligna e muddica atturrata: busiate di tumminia con ragù di moscardini di Mazara, capperi di Salina, olive nere, gelato di finocchietto e “formaggio dei poveri”, ovvero mollica abbrustolita con prezzemolo e finocchietto. Per una pietanza jazz, capace di variare sonorità (e pure texture e temperatura) ad ogni forchettata.
I Frischizzi di mari esigono invece il cucchiaio. Che va tuffato nell’essenza del pomodoro di Pachino (in gel e brodo), pronto ad accogliere branzino e frutti di mare. Intanto la Misticanza resetta la bocca a ritmo di vino cotto alle more, basilico, arancia, cucunci, olio e crema di pomodoro essiccato dall'umami attitude. Ed è allora che si sentono i Sussurri siciliani, scanditi in una tarte tatin di melanzana di Sciacca, capperi di Pantelleria e gelato di origano di Bronte. Perfetto in tandem con l’ambrato, fragrante e aromatico Ben Ryé di Donnafugata. Mentre l’Alastro di Planeta (che prende il nome da un fiore selvatico, mixando grecanico, grillo e sauvignon blanc) e l’aristocratico Nero d’Avola Sàgana di Cusumano possono accompagnare le altre prelibatezze del voyage (proposto a 67 euro, vini esclusi).
Prossimi approdi della sperimentazione firmata Butticè? “Vorremmo creare una pasta fresca ripiena di pesce rigorosamente crudo, in modo tale che come un’onda s’infranga sul palato”, racconta Vincenzo. Che sogna anche di geolocalizzare la cantina su Sicilia e Lombardia. Questione di feeling.
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