Grande Cucina

L’Alfabeto di Ellegì di Licia Granello. D come Da Vittorio

Facile raccontare un ristorante con tre stelle Michelin. Tutto perfetto, tutto che funziona, solo sorrisi, nemmeno una spiegazzatura nel tessuto dell’esperienza a tavola. In realtà, le cose sono più complesse. Molto più complesse. Soprattutto quando si tratta di strutture famigliari, dove gli equilibri sono per la loro stessa natura più fragili.

Da Vittorio è il tre stelle dei tre stelle italiani. Primus inter pares per l’incredibile capacità di far coincidere una proposta di alto, altissimo livello gastronomico con una realtà imprenditoriale che oggi conta su quasi mille collaboratori. Quella che si potrebbe definire una gioiosa macchina da guerra.

Da mezzo secolo la famiglia Cerea firma l’alta ristorazione a partire dalla provincia bergamasca, prima a Bergamo bassa e poi – trasformata in R&C – a Brusaporto. Scomparso Vittorio, capofamiglia è diventata la moglie Bruna, presenza tosta e ineludibile in tutte le vicende aziendali. E poi i figli, a partire da Chicco, talentuoso primogenito, unico dei quattro fratelli impegnati nella struttura a ricoprire un doppio ruolo, dividendosi tra cucina e accoglienza.

Il ristorante è una casa affascinante, il personale morbidamente professionale, il servizio silenzioso e impeccabile, i piatti uno più buono dell’altro, i prezzi alti in maniera comprensibile e sensata. Ma la fatica nascosta dietro tanti aggettivi splendenti è enorme. Perchè un ristorante di tipo famigliare richiede per l’appunto che la famiglia sia presente. E allo stesso tempo richiedono attenzione e presenza tutti gli eventi, le consulenze, i rapporti di lavoro costruiti negli anni con cura meticolosa e coraggio instancabile, fino a diventare una costruzione debordante. Spartirsi il lavoro rispettando esigenze, vocazioni e competenze di ognuno è complicatissimo. E soprattutto non basta.

Così, negli ultimi mesi il ristorante Da Vittorio ha sposato un modello di gestione manageriale in scia alle grandi imprese famigliari italiane, con professionisti acclarati a occuparsi dei diversi rami aziendali. Una scelta obbligata, tanto lontana dalla trattoria con biliardino annesso aperta da una giovane coppia negli anni ‘60, quanto fondamentale per dare respiro a Chicco e ai suoi fratelli.

Da Vittorio menu

Da questa riorganizzazione, la cucina può solo guadagnarne in equilibrio e creatività. Provare per credere il black code glassato con grasso di Jamon iberico, pomodoro, anice, menta e wasabi, o il finto tacos – il guscio in realtà è una lamella di cavolo rapa – con ricciola affumicata alle erbe balsamiche. La declinazione verde è figlia della Planet Farm, la nuova serra super tecnologica annessa al ristorante, una chiave gastronomica non banale in una terra sicuramente più devota alle carni che alle verdure.

Perfino i dolci sembrano diventati più pensati e misurati, pur nella generosità trionfale dei carrelli di cioccolati e caramelle, con tanto di mini ruota panoramica punteggiata di friandise. Una chiusura degna del Celler De Can Roca, il monumento catalano della gastronomia che tanto assomiglia – per numero di stelle, struttura famigliare e filosofia di lavoro – ai fratelli Cerea, felicemente approdati all’alta ristorazione 2.0.

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a cura di Licia Granello