Abbiamo guardato mille volte al passato. Per imparare, per prendere spunto, per non dimenticare. La ristorazione è un settore dove la memoria ha un valore doppio, codificato nei secoli, dalle ricette delle grand mères agli argenti sulle tavole.
I due anni di pandemia hanno funzionato come una cesura assoluta, sliding doors senza ritorno: dopo, niente è stato più lo stesso. Tutto quello che ci siamo portati da “prima” è stato ripensato, filtrato, posizionato secondo nuovi parametri.
Le nuove scie da seguire sono tante, complesse, a volte stranianti. E naturalmente non possono prescindere dal coté economico. Gli ultimi dati di Fipe-Confcommercio certificano un trend positivo dopo le difficoltà pesantissime connesse alla crisi Covid.
Secondo gli ultimi dati elaborati a un passo dalla chiusura dell’anno, il fatturato del settore segna un confortante +13,8% rispetto allo stesso periodo del 2022, a conferma di quanto emerso nei primi mesi del 2023.
Ma guai a non considerare i due elementi-cardine che concorrono a determinare per gran parte i risultati, ovvero prezzi e presenze. Rispetto al 2022, i prezzi della ristorazione (con le pizzerie a trainare gli aumenti) sono saliti di quasi il 6%, al contrario delle presenze, in lieve contrazione, malgrado l’incremento poderoso – né poteva essere diversamente – del turismo, italiano ed estero.
Resistere resistere resistere
Tra nuove aperture e conclamate chiusure, il saldo è di meno 5.631 insegne.
Nell’ultimo quinquennio, il 20% dei locali inaugurati ha chiuso dopo appena un anno. A tre anni di distanza, la percentuale dei resistenti si attesta intorno al 70%, dato che scende al 60% secondo le rilevazioni dello scorso anno. Come dire che cinque anni di ristorazione frantumano i sogni di quattro neo-ristoratori su dieci.
Altro fattore dirimente, la presenza di soci o di un capitale, che sembrano assicurare una certa solidità all’impresa: se le nuove ditte individuali hanno un tasso di sopravvivenza a cinque anni pari al 48,6%, quelli di società di persone arrivano al 59,4% e quelle di società di capitale addirittura al 66,1%.
E se domani
L’anno scorso le oltre 165.000 aziende del settore hanno impiegato quasi un milione di dipendenti, numeri che rimandano ai livelli pre-pandemia (ma con quasi 4.000 posti vacanti).
Al di là di quello che si può definire un vero e proprio mutamento socio-antropologico – in termini di qualità di vita, ovvero paghe, qualifiche, orari e organizzazione del lavoro – vanno valutati i nuovi trend.
Impossibile ormai prescindere dalla sostenibilità, dall’identità territoriale (almeno fuori dalle grandi città, of course), dalla salubrità di materie prime e tecniche di cottura. Se si vuol sfuggire a un concetto meramente consumistico della ristorazione, occorre sfilare il cibo dalla categoria “merce”, per la quale vale solo il parametro del prezzo, restituendogli la nobiltà del “valore”. Senza contrabbandare un piatto di pasta alla Norma per occasione esperienziale – abbiamo visto anche questo! – ma piuttosto offrendo ai clienti immagine e sostanza di una ristorazione contemporanea, consapevole e accudente. Un bell’impegno, per l’anno che verrà.
In apertura: foto PxHere
a cura di Licia Granello
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