Facciamo il punto. Come ogni anno, l’uscita novembrina della nuova edizione della guida Michelin Italia segna una sorta di spartiacque, come un capodanno gastronomico.
Si contano le stelle, si esaltano i nuovi stellati e si consolano i bocciati, che con il nuovo format della presentazione lo scoprono – ahimè – in scia ai titoli di coda. E poi ci sono le donne.
Altro che quote rosa
Lo svecchiamento delle cucine italiane è ormai realtà consolidata. La guida Michelin, che si vanta non di precedere i trend, ma di fotografarli ed evidenziarli, non ha mai premiato tanti giovani come nelle ultimissime edizioni (un terzo dei nuovi mono, bi e tristellati ha meno di 35 anni).
Scemato l’effetto modaiolo di Master Chef, la fascinazione nei confronti dei mestieri della tavola si è comunque tradotta in uno zoccolo duro di adolescenti che anno dopo anno scelgono la strada degli istituti alberghieri. Dove maschi e femmine si spartiscono più o meno equamente le percentuali di accesso. E siccome nelle carriere scolastiche le donne sono statisticamente più performanti, all’uscita, diploma in mano, sono perfino in numero maggiore dei colleghi maschi.
I guai cominciano lì, quando le competenze acquisite devono trasformarsi in occasione di lavoro. Una prima via di fuga è la sala: dalla parannanza alla divisa da cameriera il passo è brevissimo. Per chi tiene duro nell’intenzione di diventare chef, il soffitto di cristallo diventa sempre più incombente. Alla fine, la quantità di donne in cucina non arriva a sfiorare il 10% del totale. Praticamente un fallimento.
Le nuove stelle
Tre su ventisei, numeri da riserva indiana, di cui una – la bolognese Aurora Mazzucchelli – ritornata alla stella dopo il complicato periodo del Covid.
Le altre due, Ada Stifani e Amanda Eriksson sono diversissime per approccio e soluzioni gustative, ma condividono una contaminazione che fa ricca la loro cucina: la prima avendo sposato un uomo greco, la seconda essendo svedese ma trapiantata a Cervinia. Poi ci sono le conferme – per fortuna – che riguardano la totalità delle donne premiate dalla Rossa.
Ma la domanda resta uguale a se stessa: perché la ristorazione tiene lontane le donne? Non è un problema di fatica, altrimenti la maggior parte delle mense – che sono molto spesso in mani femminili – avrebbe chiuso da un pezzo. Stessa considerazione per le trattorie, dove la cucina tradizionale è ancora e sempre roba da donne.
Ragazze alla riscossa
Sono i piani alti della ristorazione a respingere le donne. Come se la cucina d’autore avesse codici tutti virati al maschile. Non la pesantezza delle pentole – scusa risibile – piuttosto la dittatura degli orari. Per fortuna, il dopo pandemia sta riscrivendo i comandamenti della gastronomia stellata: a supportare la scalata delle donne ai vertici potrebbe essere proprio la possibilità di far coincidere gli ingranaggi del lavoro con quelli della quotidianità famigliare.
Rincorsa ovviamente più agile per le ragazze, che si stanno affacciando con sempre minor timidezza all’Empireo della cucina. Il tempo è dalla loro parte, come cantava Rod Stewart. A patto che il mondo maschile le rispetti.
Non più una richiesta da accogliere con un sorriso a fior di labbra, ma un obbligo senza scappatoie possibili.
In apertura: Aurora Mazzucchelli
a cura di Licia Granello
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