In gergo si chiama "tapassizzazione", dall'abitudine spagnola delle "tapas": oggi è diventato un modo comune di relazionarsi con il cibo anche in Italia
a cura di Carlo Meo
Assaggiare, spiluccare, condividere è diventata una food-mania: è un fenomeno sociale, si mangia parlando con gli altri e si condividono i piatti, ma è anche un’esplosione di gusti differenti, sapidi, piccanti, delicati.
Provare di tutto ed avere esperienze diverse è tipico del nostro modo di relazionarci con il mondo dei consumi. In fondo hai anche l’impressione di mangiare di meno e sicuramente puoi controllare il prezzo di quello che stai spendendo, fermandoti quando vuoi.
Qualcuno potrà obiettare che non è tipico della cultura italiana lo “spilluzzicare”, noi siamo quelli della pasta, del menu di tre/quattro portate, del panino e della pizza… Pur rispettando la nostra memoria alimentare, però, ormai i nostri usi e costumi nel mondo del cibo si aggiornano, adeguandosi alle nuove esigenze di consumo. La pizza gourmet si mangia a spicchi come se fosse sushi… Oppure, e torniamo alle dimensioni, pensate per esempio ai giovani che fanno “snacking” tutto il giorno… Ecco, appunto lo “snacking” è stretto parente delle tapas.
Infatti è quell’abitudine di mangiare più volte al giorno in maniera destrutturata, quasi mai sedendosi ad un tavolino, alternando dolce, salato, superfood, bevande, alcolici e altro. Da ultimo la nostra società ha ormai virato verso i single, di fatto o come individualità all’interno della famiglia.
La Viennetta, il mitico gelato della famiglia borghese anni 80, è diventato monoporzioni… Sia come sia, la riduzione
delle dimensioni in porzioni e prodotti colpisce tutti i settori e le cucine.
Esiste il ristorante di tapas indiane e cinesi, così come il take away di piccole porzioni di lasagne. Anche il settore panificazione deve evolversi verso questa esigenza di consumo: non è solo un banale tema di dimensione, piuttosto di idee e ricette.
Per quanto riguarda le dimensioni, il settore panificazione ha il vantaggio, almeno teorico, di poter riprodurre una ricetta nelle dimensioni volute. Scrivo di forma, di peso e mi soffermo sulla forma, perché è la prima percezione del cliente e il senso, la vista, più importante nel mondo food di oggi.
Negli ultimi anni è tornato in auge il pane “grosso”, le pagnotte da affettare fatte con lievito madre e farine particolari. Il panino è rimasto al palo, fermo alle ricette e ai formati classici.
Proprio dal panino si può ripartire con prodotti più piccoli e ricette più gustose (olive, bacon, pomodoro, farina di mais, semi di papavero, ecc.), che danno l’idea di una soluzione per il cliente, per uno snack o come accompagnamento per l’assaggio di altri prodotti. Anche chi ama ancora il pane preferisce avere sul tavolo un cestino con porzioni più piccole, ma di gusti/impasti differenti. Il pane sempre uguale stufa e non si fa comprare più.
Per il dolce la tendenza è già in atto da anni: monoporzioni e miniporzioni sono ormai a catalogo anche
della panificazione industriale. Ma anche in questo campo si può innovare, per esempio vendendo torte non più per 6/8 persone, ma per 2/4. Consiglio un panettone da 500 grammi piuttosto che da 1 kg. Anche per il dolce, la varietà dell’assortimento unito a dimensioni più ridotte, invoglia l’acquisto di impulso.
Il settore più interessante rispetto al tema delle porzioni più piccole è quello della pizza/focaccia, oggi di gran moda, un settore dove la panificazione deve investire migliorando la qualità delle proprie ricette. Oggi la pizza, e introduco anche un tema di servizio, si mangia già porzionata proprio perché si da per scontato di comprarla almeno di due tipi differenti, alternando gusti e bocconi, oppure dividendola con un’altra persona. Diminuire le porzioni del prodotto vuol dire anche stimolare il fatturato e aumentare i guadagni: il piccolo invoglia all’acquisto e alla fine ti fa comprare di più di quanto pianificato, mentre per il panificatore il costo medio di vendita può essere più alto rispetto alle dimensioni tradizionali.
Minimal ma efficace!
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