Chef’s table, bancone, cucina a vista: tutte esperienze gastronomiche esclusive che consentono di osservare più da vicino il lavoro di una brigata. Ma, cosa accade allo chef’s table del Seta nella cucina di Antonio Guida?
Cosa ci si aspetta quando si decide di prenotare lo chef’s table di un ristorante? Di certo c’è il desiderio di vivere un’esperienza assoluta. Ciò che conta non è solo assaporare i piatti preparati dalla brigata, ma soprattutto la voglia di scoprirne il dietro le quinte, l’evoluzione e il processo che si conclude con l’assaggio.
Qualche giorno fa ho fatto la mia felice esperienza da Antonio Guida ma prima di condividerla con voi mi preme fare una premessa. Esiste, per me, una netta differenza tra il sedersi a un tavolo per mangiare direttamente in cucina, con vista sul lavoro dello chef e dei suoi, e tra l’accomodarsi al bancone affacciati sul pass o in ristoranti con cucina a vista. La logica di base è la stessa, portare la cucina al centro, come luogo da vivere e non da nascondere.
L’esperienza dello chef’s table, però, è un trend che piace molto e che conquista i più raffinati appassionati del mondo gastronomico perché rappresenta un’avventura esclusiva, non solo per il palato. Lo chef che accoglie gli ospiti nel suo ambiente per eccellenza, è pronto a farsi osservare e a mettersi a nudo. Di solito sono uno o due al massimo i tavoli che possono ricevere tali attenzioni.
Il piatto raccontato direttamente dallo chef, implica inevitabilmente una maggiore vicinanza tra le parti. L’ospite non si ferma al solo ruolo di spettatore curioso e di assaggiatore o di osservatore di momenti inediti dietro le quinte. Al tavolo in cucina si percepisce tutto quello che non sempre riesce ad arrivare in toto attraverso i filtri della sala. Ed è proprio questo il valore aggiunto di una tale modalità assolutamente unica. Questo è il motivo per cui oggi, in un certo tipo di ristorazione, tutta la cura, che fino a poco fa era concentrata per lo più sulla location, la sala, l’illuminazione, si sta spostando anche sulle cucine, sempre più razionali, belle, ordinate, performanti e di design.
Come vi accennavo, sono stato nella cucina del Seta (2 stelle Michelin) all’interno del Mandarin Oriental di Milano, guidata dallo chef Antonio Guida. Entrare in quello che è il suo tempio, chiacchierare con lui e vivere l’operatività dell’intera brigata in modalità chef’s table è stata per me un’esperienza gastronomica piena e appagante, che probabilmente non avrei vissuto allo stesso modo se fossi stato seduto a un tavolo della pur splendida sala.
Carpire l’ispirazione di un piatto oppure riscoprire un sapore perduto, cogliere l’atto creativo generato dalla memoria è un piccolo grande privilegio, riservato qui solo a due persone per volta.
Antonio Guida si espone in prima persona, serve al tavolo coadiuvato dallo staff di sala, racconta e si racconta senza mai perdere la concentrazione, dialoga pur mantenendo il suo proverbiale low profile e assicura un’esperienza felice ai massimi livelli ma senza formalismi eccessivi. Condivide il perché delle sue scelte, come quella del passito di Lavazzolo, che accompagna il suo astice blu con porro e tè matcha, il cui aroma si sposa alla perfezione con il pregiato crostaceo. Parla della genesi delle conchiglie al tandoori con aglio nero, e, mentre versa l’infuso di patate arrosto di accompagnamento, si sofferma ricordando il profumo del brodo della sua infanzia. Ciò che colpisce ancora è la grande collaborazione e simbiosi con la sua brigata, come quando mi ha raccontato la nascita della millefoglie alle mandorle con sorbetto di limone, frutto di prove e confronti continui con il suo pasticcere Marco Pinna.
Ph. courtesy Seta, Mandarin Oriental Milan
a cura di Federico Lorefice
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