Mentre i vertici della guida gastronomica più famosa al mondo si alternano, in una girandola di nomine, dimissioni e nuovi arrivi ravvicinati nel tempo come non mai, le guide continuano a uscire. Oltre trenta edizioni in tutto il mondo vedono giocoforza una serie di appuntamenti incalzanti durante tutto l’anno.
Quella italiana e, per prossimità oltre che per rilevanza, quella francese sono le edizioni Michelin che attirano maggiormente la nostra attenzione. Tranne per un caso, quello in cui a uscire sia la ‘rossa’ di un Paese o una città anche molto distanti ma che ci coinvolge per lo chef tricolore al quale va il riconoscimento.
È questo il caso della Guida Michelin Shanghai 2019 presentata ieri e che tra le nuove stelle vede premiato Niko Romito, con il suo ristorante all’interno del Bulgari Hotel.
Non è la prima volta che uno chef italiano conquista una stella all’estero. Locatelli a Londra, Zanoni a Parigi, Bombana proprio a Shanghai, sono solo alcuni esempi di stelle tricolori che illuminano i cieli della ristorazione all’estero.
Questo caso ha però due peculiarità: i tempi di assegnazione del riconoscimento e il tipo di cucina proposta.
Quella di Romito non è una semplice apertura in un Paese straniero ma fa parte di un progetto strutturato e più complesso. Grazie all’accordo stipulato tra lo chef abruzzese e il gruppo alberghiero di lusso Bulgari, sono già quattro le aperture a oggi: Shanghai, Dubai, Pechino e più recentemente anche Milano, che vedono la ristorazione degli hotel Bulgari accogliere le brigate con la firma di Niko Romito.
La cucina proposta non è quella del Reale, il ristorante dello chef a Castel di Sangro (L’Aquila) che ha conquistato tre stelle Michelin, e nemmeno una proposta creativa fine a se stessa. L’obiettivo dichiarato di Romito è di proporre un’autenticità tutta italiana.
Anche passando attraverso un’estetica minimalista che vuole andare all’essenza della proposta gastronomica italiana. Un traguardo non da poco ma perfettamente in linea con il termine ‘assoluto’, che contraddistingue il nome di alcuni piatti dello chef.
Una sorta di biglietto da visita della nostra cucina classica ma in una lettura contemporanea.
Frutto di due anni di ricerche, si tratta di un impegno che ha portato a risultati quali lo spaghetto al pomodoro, che già aspira a divenire piatto iconico. Per alcuni forse una proposta gastronomica azzardata, un rischio, ma il riscontro immediato, a soli due mesi dalla prima apertura, pare dare pienamente ragione all’iniziativa.
La cucina italiana va all’estero superando stereotipi, storture da italian sound e declinazioni esasperatamente creative, per portare gusto e qualità.
A cura di Roberto Magro
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