Dobbiamo ancora parlare della pizza di Cracco? Almeno cerchiamo di farlo portando chiarezza sull'argomento che ha scatenato i social
Potremmo, ma la ricerca compulsiva di like a ogni costo ci impone di parlarne.
E visto che lo dobbiamo fare, almeno cerchiamo di portare chiarezza.
Se non siete gastrofighetti o gourmet imbruttiti, forse non ne sapete nulla: ma qualche giorno fa un cliente del nuovo locale di Cracco ha postato la foto della versione dello chef della pizza.
Una foto non professionale, fatta in un ambiente che non aiuta, avendo luci basse e non idonee allo scatto. Una foto che non rende giustizia alla pizza servita nel locale, nè a chi l’ha preparata.
Eppure, quella foto è diventata virale e ha scatenato il ‘popolo della rete’, che non ha perso occasione di attaccare lo chef, colpevole di innumerevoli reati:
- Servire un piatto cattivo
- Distruggere la tradizione italiana
- Svalutare uno dei prodotti tipici del nostro Paese
- Farsi strapagare per un’autentica schifezza
- Non avere rispetto dei suoi clienti
- Non saper cucinare
- E altre, varie, amenità
Quanti di questi ostili navigatori hanno ordinato, visto e assaggiato la pizza in questione? Nessuno. O pochi, pochissimi.
Eppure tutti hanno sentito il bisogno di dire la loro, argomentando e lanciando strali contro un uomo che ha la sola colpa di essere celebre.
Di certo, se la pizza in questione l’avesse fatta il pizzaiolo di Quarto Oggiaro, non saremmo mai arrivati a parlarne.
Buona o no, bella o no, cara o no, autentica o no, aderente alla tradizione o no. Legittima o no.
Noi non abbiamo assaggiato la pizza in questione, ma lo faremo presto.
Ma una riflessione ci sentiamo di condividerla con tutti voi.
E se, semplicemente, ricominciassimo a mangiare invece di scrivere di cibo? Se non ci sentissimo in diritto di dare la nostra opinione su tutto, a prescindere dalle nostre competenze e conoscenze, pensando che la nostra idea sia sempre e comunque interessante per l’umanità?
E se, finalmente, smettessimo di punire chi ha successo mettendo davanti a tutto la nostra mediocrità?
A cura di Anna Prandoni
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