Un viaggio tra alcuni dei migliori ristoranti di montagna delle nostre Alpi, locali stellati come il St Hubertus dello chef Niederkofler oppure ristoranti d'alta quota dove gustare il meglio dell'alta cucina di montagna, in un connubio perfetto tra paesaggio, sport e gusto.
Montagna e attività fisica vengono spesso associate: sia che venga vissuta in alta stagione, tipicamente l’inverno, sia che venga vissuta d’estate, la montagna per molti è movimento. Sport invernali, trekking, intense camminate che come mete hanno luoghi dai quali la vista è mozzafiato, panorami unici conquistati con la fatica delle gambe. E cosa può stimolare più di tutto questa attività? L’appetito!
In soccorso vengono subito tutta una serie di rifugi, alcuni letteralmente tali, altri metaforici e in realtà veri e propri ristoranti di montagna, dalla trattoria di tono fino agli stellati. Lo stereotipo del locale montano porta subito a pensare a un ambiente dai toni caldi, ligneo, magari con un bel camino sempre acceso che fa subito accoglienza familiare.
Nei piatti portate sostanziose e tipiche: carni, selvaggina, che grazie a lente cotture diventano capolavori di morbidezza immersi in un mosaico di aromi concentrati. Quasi piatti unici come brasati, salmì, stufati, che hanno accanto una generosa cucchiaiata di polenta, magari con qualche variante di grano saraceno o rinforzata con latticini locali.
Alta cucina ad alta quota
Oggi la ristorazione in montagna è in grado di proporre anche alternative gourmet molto raffinate. Due esempi su tutti vengono subito alla mente, tra Italia e Francia. In Alto Adige, tra le cime delle Dolomiti, lo chef Norbert Niederkofler (tra i relatori di World Pastry Stars 2018) all’interno dell’hotel Rosa Alpina guida il rinomato ristorante St Hubertus, nome del protettore dei cacciatori; ovvero quando la montagna partorisce un luogo magico con soli 11 tavoli che è arrivato a conquistare tre stelle Michelin.
Uno chef che ha messo al servizio della propria terra l’esperienza maturata anche altrove su tavole blasonate. Un viaggio di ritorno a casa nel quale non ha rinnegato nulla, al contrario, si è quasi messo dietro per mettere davanti l’ingrediente, locale e da valorizzare.
Conoscere l’animale, dove e come vive, per evitare sprechi e rispettarne il sacrificio. La montagna allora per Niedeofler non è più una restrizione ma un’occasione per aguzzare l’ingegno, alla ricerca di componenti acide o di oli locali che sostituiscano quelli più comunemente usati ma non presenti in queste zone, come l’extra vergine. Una cucina anti spreco la sua e attenta all’ambiente, tanto da aver dato vita a Care’s: un appuntamento che raggruppa grandi chef che si interrogano e discutono dell’impatto ambientale dell’alta cucina, che sia sana e sostenibile per un nuovo approccio etico al cibo.
Nel cuore delle Alpi, dove si chiamano Alpes, il pluristellato Yannick Alleno nel suo locale 1947 propone una raffinata cucina ad alta quota, per soli 22 coperti e con un’apertura stagionale dal 15 dicembre al 7 aprile. Anche questo ristorante è un piccolo scrigno gourmet in quota, all’interno di una struttura ricettiva di tono, Le Cheval Blanc a Courchevel, nota stazione sciistica nella Savoia.
La montagna milanese fuori porta: la Valtellina
Accanto a questi esempi di ristoranti in montagna che segnano la strada di un cambiamento ma sono pur sempre eccezioni, ci sono possibilità intermedie per scoprire a tavola prodotti locali in chiave contemporanea.
Per chi, vivendo a Milano, vuole evadere in un ambiente alpino senza fare troppa strada, la provincia di Sondrio e le sue valli riservano piacevoli soste. Una di queste è sicuramente la Lanterna Verde di Villa di Chiavenna, a due passi dal confine con la Svizzera. Un locale premiato con una stella Michelin che ben si presta ad atmosfere intime e calde nelle sale interne d’inverno e consente con la bella stagione di pranzare all’aperto con vista sul paesaggio circostante.
In carta non mancano pizzoccheri con grano saraceno, brisaola e salumi della Valchiavenna. Ma il vero fiore all’occhiello di questo ristorante stellato di montagna sono le trote, allevate direttamente dietro il ristorante. Un prodotto locale e che più a chilometro zero non si potrebbe. Un pesce d’acqua dolce protagonista di un percorso degustazione dedicato “alle nostre trote” ma ricorrente anche nella carta, dall’ottimo trittico di trota, alla trota alla piota o ancora il trancio al forno.
La tipicità della Valtellina è anche perfettamente apprezzabile in solide realtà come l’Osteria del crotto che già nel nome ricorda le tipiche cavità nella roccia dove affinare salumi locali. Una costruzione in pietra, una luminosa sala ad angolo e nel piatto salumi unici, come il violino di capra, oltre a ricette tipiche del territorio.
Terme, montagna e cucina
La montagna si rivela un paesaggio versatile: sport invernali, attività fisica d’estate ma l’atmosfera salubre la rende ambientazione ideale per SPA a tutto relax. Prés-Saint-Didier e Bormio sono solo due esempi di questo tipo di vacanza, grazie a stabilimenti di nuova concezione, spesso frutto di restauro e valorizzazione di spazi preesistenti.
Il coté gastronomico segue a ruota. Ecco che nella località valdostana l’Hotel Monte Bianco, vicino ai bagni termali, contiene al suo interno anche una SPA e permette di concedersi momenti gourmet nel proprio ristorante. Una cucina con solide basi territoriali ma moderna: bovini valdostani, porcini, fondute, non mancheranno di certo. Ma anche la colazione riserva piacevoli sorprese per tutti i sensi: una vetrata con vista sul Monte Bianco, ottimi prodotti con una buona varietà, il tutto magari accompagnato dal suono di un’arpa in sala, si può chiedere di più?
Tornando in Valtellina, anche qui si può trovare una cura rinvigorente a tavola dopo una giornata alle terme, che a Bormio risalgono ai Romani. Una tappa al ristorante Umani, all’interno dell’Eden Hotel, ad esempio. Ai fornelli Antonio Borruso, napoletano, classe 1979 ma perfettamente trapiantato in Valtellina.
Qui ha portato una cucina contemporanea che ripesca dai classici valtellinesi in percorsi gustativi che vedono anche innesti campani: mediterraneo e monti si incontrano in una cucina premiata anche da una stella Michelin. Atmosfera di montagna con tanti elementi caratteristici ma tutto con un’aria di tono e patinata.
Pranzi in vetta
Terminiamo in vetta, con un pranzo di montagna per eccellenza, se non alta cucina in senso stretto, cucina d’altitudine di sicuro: il pranzo in rifugio. Se siete ancora in Val d’Aosta e oltre alle terme e a pranzi gourmet vi spingete a Courmayeur, da qui potrete godere di panorami mozzafiato grazie alla moderna funivia del Monte Bianco.
Giunti in vetta vi aspetta il Rifugio Torino, a 3375 metri sul livello del mare, sul versante tra Italia e Francia e quasi conteso tra i due Paesi. Attorno la vista spazia su neve e ghiacciai perenni, dentro tanto legno e tanta pietra, calore e la solidità dei rifugi di montagna. La targa in legno all’ingresso, decorata col disegno di fiori alpini, dichiara subito l’impronta della cucina: piatti valdostani. All’interno le promesse vengono tutte mantenute.
Dovrete solo pazientare, perché è spesso preso d’assalto, e non avere troppe pretese su servizio (formula self service) e ambiente ma non si viene fin qui per quello. Una solida, anche calorica ma perfettamente giustificata cucina di montagna vi aspetta. Un tipico piatto proposto è la Valpeullenentze: la zuppa valdostana con brodo di manzo, cavolo, burro a volontà e fontina: Sono consigliabili ampie passeggiate per smaltire, anche se è più probabile che ci si lasci tentare da una siesta con vista sulle cime innevate.
A cura di Roberto Magro
Condividi l'articolo
Scegli su quale Social Network vuoi condividere