Molti artigiani fanno, più o meno saltuariamente, delle consulenze ma pochissimi hanno avuto il coraggio di fare della formazione il fulcro della propria attività. Uno di questi è Cristina Zaghini, un pizzaiolo la cui storia può essere d'esempio per chi sta pensando di tentare questa carriera
di Atenaide Arpone
Una volta ci si formava a bottega e imparare non era per nulla semplice, perché chi era preposto all’insegnamento (in genere il titolare) era geloso delle proprie ricette e dei metodi di lavorazione. Così, per apprendere, occorreva letteralmente “rubare il mestiere”. Oggi formarsi è diventato molto più facile: pullulano i corsi delle scuole, gli show-cooking, gli incontri organizzati dalle aziende. Manca ancora un vero e proprio percorso completo che formi i formatori, ma sicuramente non le occasioni per accrescere le proprie conoscenze. Per questo motivo cresce anche la domanda di docenti e consulenti. Quella delle consulenze è diventata quindi un’opportunità tangibile e molti artigiani affiancano questa attività al proprio lavoro. Sono pochi però quelli che fanno il salto di qualità e lo diventano.
Cristian Zaghini lo ha fatto ed ora, complice la nuova vitalità di cui beneficia la pizza, è richiestissimo in Italia e all’estero. Lo abbiamo intervistato a “Impastando s’impara”, la scuola di una delle aziende con cui collabora maggiormente, Molino Grassi.
Come sei diventato formatore?
Sono curioso di natura e, quando lavoravo in pizzeria, cercavo di capire e sperimentare e scambiavo continuamente opinioni con i colleghi. Mi capitava di dare suggerimenti, condividere idee, dare una mano. Finché un giorno mi hanno chiesto supporto per creare un nuovo format in provincia di Torino e ho cominciato a pensare che potevo far diventare questa mia predisposizione un lavoro a tempo pieno.
Parli di predisposizione. Che cosa deve avere un artigiano per diventare consulente?
Innanzi tutto, come ho detto prima, deve essere curioso. Prima di dare consigli alle persone, occorre formarsi e informarsi. Quando poi si diventa consulente formarsi diventa l’attività principale, un lavoro che porta via tanto tempo, quanto quello che passi con i clienti, se non di più. È pur vero che le consulenze sono la prima occasione di apprendimento: quando faccio dei test di una farina, imparo come reagisce; quando faccio la stessa cosa con un forno, scopro quanto sia importante la cottura, che può esaltare o rovinare un prodotto esattamente come accade quando si lavora un impasto.
Come ti sei formato?
Non esiste un percorso per formatori, io ho frequentato molti corsi per imparare e, quando ho deciso di diventare formatore, ho seguito anche corsi di marketing, su come parlare in pubblico, di PNL (Psicologia Neuro Linguistica). Per me è fondamentale capire chi si ha di fronte per potergli essere davvero utile.
Cosa ti piace del tuo lavoro?
A parte l’indipendenza, direi la mancanza di routine e la possibilità di avere dei feedback continui dai clienti, che poi sono degli excolleghi, alcuni dei quali molto bravi. La soddisfazione maggiore, però, la trovo quando riesco a rompere degli schemi e a far capire che non esiste “il” metodo migliore per lavorare, esistono infiniti metodi, tutti potenzialmente adatti a creare prodotti eccellenti: occorre solo trovare il proprio.
Come sei riuscito a fare della consulenza la tua attività principale?
Ci sono voluti alcuni anni: ho cominciato a esercitare questa professione in modo continuativo nel 2004 (anche se le primissime consulenze risalgono al 1999). Il salto vero e proprio l’ho compiuto nel 2008 e, a distanza di dieci anni, ormai la mia agenda annuale è piena e ho impegni fissati già nel 2019. È stato però un passaggio graduale e per 10 anni ho dovuto affiancare l’attività di consulenza a quella di pizzaiolo per conto di altri. Questo essere costretti a tenere un piede in due scarpe ha richiesto parecchio sacrificio, ma è un passaggio obbligatorio, perché nessuno può pensare di partire da zero con già un parco clienti sufficiente per mantenersi.
Come trovi i tuoi clienti?
Ho un blog e una pagina Facebook. Oggi, se utilizzi questi strumenti per promuovere la tua professione e non per fare pettegolezzi,
ci sono molte opportunità. Il blog che mi cura un’agenzia di Riccione, la Retorica Comunicazione, mi permette di approfondire alcuni argomenti, ma i social mi danno moltissima visibilità e sono molto, molto rapidi nel dare risposte. Insieme, questi due strumenti mi fanno conoscere al grande pubblico, che è formato da appassionati, ma anche da professionisti. Così mi procuro una gran parte del mio lavoro. Il resto lo fa il passaparola.
Come gestisci i social?
La mia agenzia è formata da persone molto in gamba: io do loro delle tracce, loro realizzano i post che poi leggo per un’ultima verifica. Poi si va online. Ormai siamo rodatissimi.
Quante consulenze fai al mese?
Dipende, ci sono mesi in cui ne faccio due a settimana e altri meno densi di impegni, ma ti assicuro che ormai il mio lavoro è diventato remunerativo e mi da molte soddisfazioni.
Chi ti gestisce l’agenda?
Lo faccio personalmente. Terminate le consulenze, alle 17.00, leggo le mail e organizzo gli eventi dei giorni successivi. È un lavoro che richiede più tempo di quanto si immagini, ma io preferisco così.
Come stabilisci le tariffe delle tue consulenze?
Ho una tariffa giornaliera e, siccome giro molto, anche all’estero, chiedo ai clienti di prendersi carico delle spese di viaggio e alloggio. In questo modo, io mi libero dell’incombenza di organizzare gli spostamenti e i miei clienti sanno che il mio compenso è una tariffa fissa e che non faccio giochetti strani.
Come è organizzata la tua settimana tipo?
Lavoro 5 giorni su 7, tassativamente; le consulenze si svolgono dalle 8.00 alle 17.00, poi – come ho già detto – mi occupo dell’organizzazione e dei social.
Fai consulenze anche per i panettieri?
Sì, molti panettieri fanno pizza e alcuni usano per il pane tecniche da “pizzaiolo”, per esempio gli impasti freddi.
Qual è il segreto di un buon formatore?
Riuscire ad aprire un canale. Quando si ha a che fare con dei professionisti, è molto probabile che si abbia di fronte una persona con una grande esperienza e abituata a lavorare con un determinato metodo. Ovvio che sia restìo a cambiare in modo radicale il proprio approccio. Occorre quindi creare un rapporto di fiducia che ti permetta di superare la diffidenza iniziale. Non è facile, ma è necessario se si vuole essere utili ai propri clienti. Ovviamente, il cliente, deve fare la sua parte ed essere disposto ad ascoltare, ma di solito, se ti chiamano, è perché hanno bisogno di aiuto.
E le aziende che tipo di consulenze ti chiedono?
Quello delle consulenze alle aziende (molini, produttori di macchine, ecc.) costituisce gran parte del mio fatturato ed è importante perché garantisce un minino di continuità. Per Molino Grassi – per esempio – testo le farine, confrontandomi con colleghi panettieri e pasticceri come, per esempio, Ezio Marinato. Recentemente abbiamo fatto un bellissimo lavoro con le farine della linea QB, che sono ottime, perché sono biologiche, stabili e lavorabili e hanno proprietà organolettiche straordinarie. In più, ho curato i test delle farine per pizzeria: un prodotto affidabile e che garantisce risultati davvero eccellenti. Per il Molino tengo anche dei corsi e prossimamente nella scuola “Impastando si Impara” ne terremo uno sulle fermentazioni spontanee: è a quattro mani con Carlo Di Cristo, un vero maestro che stimo moltissimo.
Quello delle fermentazioni spontanee è un argomento ostico e… osteggiato. Perché, secondo te?
Le fermentazioni spontanee non sono una novità, si utilizzavano già al tempo dei Sumeri. Per questo fatico a comprendere l’ostilità che hanno suscitato. Sono d’accordo che – prima di gridare al miracolo – sia necessario approfondire, studiare, testare. Stiamo parlando di somministrare prodotti alla gente: dobbiamo essere scrupolosi e attentissimi. Tuttavia, non vedo perché rifiutarsi di studiare un metodo, sostenendo aprioristicamente che è dannoso. Potenzialmente anche la gestione del lievito madre comporta dei rischi, eppure tutti vogliono usarlo. Io dico solo che, prima di utilizzarlo o rifiutarsi di farlo, occorre fare degli studi approfonditi, esami di laboratorio, tentativi e sono disposto a discuterne in modo aperto. Quello che non tollero, sono certi toni da “Al lupo! Al lupo!” che, francamente, mi paiono eccessivi. Se qualcuno è contrario e vuole confrontarsi in modo civile, con me troverà la porta aperta.
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