Il ruolo della pasticceria nel canale ristorazione è stato il grande argomento di discussione e di business degli ultimi anni: un settore che è sempre esistito – quello dei dolci e dessert per ristoranti – che ha attirato interesse di aziende, pasticceri e ristoratori in una logica di evoluzione e miglioramento dell’offerta al cliente finale. È quindi ora di fare un bilancio di questa evoluzione, di capire se e quali obiettivi sono stati raggiunti e quali invece sono le sfide ancora da superare. Semplificando, ma fotografando la realtà siamo di fronte ad alcune tipologie di rapporto tra ristorazione e pasticceria.
Chi ha il pasticcere
Chef stellati, ristoranti storici, grandi alberghi: c’è chi è fortunato e può permettersi la “brigata lunga”, con pasticcere dedicato e assistenti annessi. Qui la vita, in teoria, è comoda e il risultato facilmente raggiungibile. In teoria…
Proprio da qui è infatti nata la riflessione sul miglioramento del dolce da ristorante, spesso la portata più dimenticata dai clienti e peggio interpretata dagli chef rispetto alle altre portate, anche per quelli stellati. In quest’area c’è stato sicuramente un grande miglioramento nella ricerca e selezione degli chef pasticceri nonché nella concezione e presentazione dei piatti, sempre più sorprendenti e invitanti.
Resta il fatto che proprio per la caratteristica dell’offerta di questa tipologia di ristorante, vedi menu degustazione, il cliente concentra maggior attenzione verso i piatti salati e fa fatica, ma proprio fatica nel senso della voglia e disponibilità a chiudere con il pasto con dolci troppo complessi e articolati. Non vedo soluzione a questo problema: così è nella logica dell’esperienza unica di un menu stellato da 5, 7, 9 portate, il dolce in sequenza arriva all’ultimo posto…
Oppure stiamo parlando di formule più agili (lo vedremo più avanti…), come i “gastro bistrot” – vedi Cannavacciuolo Cafè & Bistrot, Trombetta di Morelli, Tickets di Adrià – dove il dolce è una portata da scegliersi tra le altre nella pianificazione di un pasto di sole 2-3 portate.
Le difficoltà tutte italiane dei nuovi concept dedicati alla pasticceria
Ne scrivo da anni, ma devo ammettere che i concept non hanno preso piede in Italia. Ho personalmente progettato il primo dessert bar italiano, Tiramisù Delishoes, con la consulenza di Espai Sucre, che è miseramente fallito per incapacità gestionale. L’Èclaire de genie fa una terribile fatica a dispetto del suo vulcanico ideatore e imprenditore.
I suoi negozi di Milano sono sempre vuoti. Lo posso dire con sicurezza perché ne ho uno a due portoni dal mio ufficio. Perché non funzionano i nuovi format? L’Italia nella pasticceria è un paese piuttosto tradizionalista, le città con le potenzialità per reggere una proposta commerciale sono una, al massimo due (Milano e Roma) e all’interno di tali città vie e location adatte sono poche e molto costose.
Non è un caso che ancora in una città come Milano le pasticcerie di riferimento siano quelle che esistono da decine di anni e che nessun pasticcere di grido italiano si decida ad aprire in centro storico. Solo per fare degli esempi: Salvatore de Riso è il re della costiera amalfitana, Luigi Biasetto non ha rivali a Padova, Alessandro Servida presidia l’hinterland milanese…
Ma chi ha voglia e coraggio di aprire in centro a Milano o Roma? Sono scelte assolutamente condivisibili ma prima di parlare di nuovi concept c’è ancora molta strada da fare… Bisogna abituare il mercato a un nuovo concetto di pasticceria che esuli dalla dimensione locale.
Chi non ha il pasticcere
Esistono poi ristoranti con “brigate corte” e sono la maggioranza del mercato italiano della ristorazione, ristoranti di qualità con menu semplici dove il dolce ha sempre un suo ruolo. Nel passato come oggi, in provincia tali dessert da ristorante possono essere “casalinghi e fatti in casa”, ovvero la cuoca, spesso coniuge del proprietario-gestore, cucina due o tre torte, un tiramisù, una crème caramel, assolutamente sublimi.
Oasi da proteggere e da conservare, diffuse in tutta Italia. Ma se parliamo del mercato della ristorazione metropolitana di quello che si vede e fa immagine il tema del miglioramento dell’offerta del dessert è stato quello che di cui si è discusso di più negli ultimi anni. Orfani di soluzione come Bindi e orientati a interpretare le nuove esigenze di consumo (monoporzioni, dolci belli e buoni, dolci più salutistici) i ristoratori hanno reagito seguendo la vecchia strategia alternativa del “make or buy” (faccio da solo o compro già fatto).
Il “comprare” ha fatto riferimento al prodotto finito di qualità, addirittura prodotto e firmato da maestri pasticceri, spesso congelato, pronto comunque da impiattare e servire. Un prodotto con ingredienti di qualità e finiture da alta pasticceria, che mai un ristoratore con questo posizionamento riuscirebbe a realizzare. Non a caso La Pasticceria Martesana domina la fornitura di dolci monoporzioni dei migliori ristoranti giapponesi e fusion di Milano.
Il prodotto acquistato di questa qualità “costa” ovviamente ma sarebbe riduttivo limitarsi al prezzo senza considerare la soluzione del problema: te lo consegnano a domicilio, lo impiatti in pochi secondi e lo vendi a un prezzo conseguente al suo valore di acquisto. Certo non è per tutti… Un’altra soluzione legata al “comprare” è quella di utilizzare preparati, ingredienti, basi da personalizzare in minima parte nel ristorante.
L’azienda Delifrance ha appena lanciato la linea di tartellette À la Folie, basi di pasta frolla di dimensioni e ingredienti diverse da riempire con creme e personalizzare a discrezione del ristoratore. Passando all’opzione “fare” è sempre più frequente l’utilizzo di un consulente di pasticceria in fase di progettazione di un concept, in questo contesto segnalo il lavoro eccezionale di Fusto per Panino Giusto che è riuscito a rilanciare una categoria che non era proprio nelle corde dell’insegna.
Il consulente di solito, oltre a concepire i dolci per il ristorante, o insegna a qualcuno a farli o li fa produrre esternamente al ristorante (e qui ritorniamo al punto precedente). Esiste anche la possibilità che il ristoratore decida di fare da solo investendo su una figura del proprio team che acquisisce competenze nel mondo del dessert. Qui vedo i maggiori pericoli rispetto al ruolo della pasticceria al ristorante: la situazione di compromesso in cui non hai né lo chef pâtissier e neanche in frigo il dolce monoporzione da ristorante di qualità, ti inventi delle soluzioni semplici e veloci, perché ne hai bisogno, ma snaturi il ruolo del dolce e la ricetta.
È il caso di molti bistrot anche di firma famosa. La linea di pensiero è l’assemblare più che il ricettare, lievitare e cuocere. Sac à poche a volontà, crumble, guarnizioni. Ho appena mangiato un pessimo tiramisù in un noto bistrot griffato di Milano, alla fine di un’ottima cena. Dire pessimo non rende neanche l’idea: era un’interpretazione di un tiramisù completamente sbagliata dove gli ingredienti e la sensazione della ricetta originali scomparivano. Biscotto durissimo al posto di quello inzuppato nel caffè, crema inconsistente che galleggiava sul medesimo biscotto. La pasticceria innova nei formati e nelle presentazioni ma le ricette tradizionali si devono saper fare e non rovinare per un mero esercizio di stile. Allora è meglio la vecchia ricetta della cuoca di trattoria, quella vera però!
(A cura della redazione)
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