Mille sono i fattori che concorrono a formare la riuscita di una nuova impresa commerciale in pasticceria. Il format del marketing, la posizione del negozio, l’allure impalpabile che il marchio riesce a costruirsi. Eppure non è sempre così facile . . .
In un recente articolo accennavo all’insuccesso in Italia di alcuni format innovativi di pasticceria, nati in Italia o importati dall’estero, in particolare dalla Francia. Il tema è piaciuto e quindi merita di essere approfondito. Avverto – perché nessuno ne abbia a male – che è il caso che io faccia degli esempi, citando anche qualche nome e cognome.
Premessa inevitabile: fare il commerciante di questi tempi è una delle professioni più difficili del mondo, mentre essere clienti-consumatori è molto facile. Ovviamente le posizioni sono collegate: in un mondo di eccesso di offerta, dove gusti e mode cambiano in un click, i clienti sono onnipotenti, mentre il commerciante è in continua difficoltà: per assurdo, anche quando ha successo deve pensare a evolversi e cambiare in continuazione o comunque saper mantenere sempre viva la propria formula commerciale.
Se se la cava bene, i fatturati servono a mantenere onorevolmente azienda e famiglia, ma i grandi guadagni del passato sono ormai un ricordo da dimenticare: l’unico sviluppo oggi possibile nel settore food si può trovare spostandosi verso la ristorazione o la replicabilità. Ma le cose si complicano ulteriormente: come ripeto sempre, un concept di successo è fatto di coraggio, tanta coerenza imprenditoriale e studio maniacale di ogni dettaglio dell’esperienza di acquisto vissuta dal cliente.
Il valore della tradizione
Il settore pasticceria in Italia è molto legato alla tradizione e ai negozi di provincia. Un fatto e una constatazione, ma anche un’opportunità sulla quale lavorare per proporre qualcosa di nuovo e di diverso. Un esempio, il successo dei macaron, che oggi si trovano in tutta Italia e in tutti i canali, diventati prodotto icona degli ultimi anni. Non è nemmeno per caso che Prada abbia acquisito Marchesi e lo abbia trasformato in una pasticceria che mixa con garbo tradizione e innovazione.
È indubbio che il mercato delle proposte innovative sia concentrato nelle grandi città e nelle metropoli (Milano e Roma in primis), ma ci sono potenzialità anche nella provincia più ricca e aspirazionale. Insomma, se l’Italia è potenzialmente pronta a ricevere nuovi concept di pasticceria, perché allora alcuni non funzionano? Prima di tutto c’è il fattore imprenditoriale: il pasticcere tradizionale è un artigiano produttore e il nuovo imprenditore non conosce nulla di pasticceria.
Semplicistico ma efficace: proporre un nuovo concept vuol dire avere capacità gestionali che vanno oltre l’artigianalità del saper fare o l’entusiasmo dell’investitore che fa soldi e ha successo in altri settori. Non ci si inventa creativi e commercianti di una nuova idea di pasticceria. E non si deve sottovalutare il progetto riducendolo a un lavoro su immagine e comunicazione, un logo, un banco e un packaging innovativo.
La “carrozzeria” del negozio è la conseguenza di un “motore”, il concetto commerciale, e del “pilota”, l’imprenditore, che deve saper guidare una macchina complessa. L’improvvisazione e il passo più lungo della gamba portano all’insuccesso. E lo sottoscrivo: il fatto di essere un bravo artigiano, il migliore esecutore di lievitati o di praline, oppure un bravo manager dell’industria, non dà nessun vantaggio acquisito.
Metto in questa categoria soprattutto chi parte in quarta – sempre per usare una metafora automobilistica – non solo lanciando un nuovo concept ma promettendo fin da subito la replicabilità in altre città, paesi, mondi, con il segreto intento di vendere poi tutto a un fondo di investimento: sogni mai realizzati. Questo primo punto, un imprenditore poco accorto, è ovviamente la premessa di quelli che seguono.
Marketing sofisticato
Altro tema importante, capire se il concept sia adeguato oppure non sia stato adattato al mercato italiano: se il successo arriva dall’estero, si dà per scontato che debba funzionare anche in Italia. Facciamo un semplice confronto macaron vs éclaire: Ladurée è entrata in Italia nel 2013 sfruttando la scia di notorietà del prodotto data dal film di Sofia Coppola su Maria Antonietta e, sull’onda di un fenomeno mediatico di gran moda, ha aperto a Milano in via Spadari davanti a Peck, mantenendo il laboratorio nel negozio di Montecarlo.
Il prodotto era atteso in Italia, il prezzo relativamente contenuto, il meccanismo d’acquisto legato ai gusti e alle confezioni semplice ed esperienziale. L’ ”Éclaire de genie” invece è arrivato a Milano nel 2016, aprendo due negozi molto grandi rispetto alle potenziali vendite (uno dei due fa anche da laboratorio), il prodotto era totalmente sconosciuto agli italiani – un parente del bignè ma molto più grande – con un prezzo totalmente fuori mercato (dai 4 ai 6 euro) per un formato e un consumo sconosciuto (è uno snack, una monoporzione, forse un pasticcino che si può regalare?). Le location – ne parliamo diffusamente più avanti – situate in vie legate più al mondo dei giovani che a quello del lusso accessibile. Scriverei diversamente se si fossero posizionati in Galleria? Forse sì.
Luoghi d’attrazione
Ultimo potenziale, terribile errore, la location: è il primo motivo di successo e quindi anche di insuccesso di un negozio. Chi è davanti a Peck e vende food, macarons o altro, è sicuramente messo molto bene. Certo, non basta ma è a buon punto verso la via del successo. Se invece è alla fine di corso di Porta Ticinese, in un locale che ha cambiato in pochi anni troppi commercianti, verrebbe da dire che ha sbagliato posto.
Ho un collega che sostiene che i negozi hanno un’anima, come gli esseri umani o la natura: ciascun luogo ha un suo feng shui, se non va, non va, è inutile accanirsi. A Milano come a Roma le zone dove aprire nuovi concept di pasticceria non sono tante. Non basta la definizione generica di “punti di traffico”, perché dipende dal tipo di passaggio… Il Ticinese è pieno di giovani la notte, ma non va bene per una pasticceria; mentre è perfetto per Princi che ha inaugurato il nuovo format “Farini” di fronte a Grom. Non a caso, Prada ha aperto Marchesi in Montenapoleone e in Galleria.
Anche Pascal Caffet, relegato in un angolo di via San Vittore tra i cantieri della metropolitana, meritava di meglio. Si dirà che in Italia le location buone sono scarse e costano molto e per di più c’è anche il malcostume delle buone uscite… Lo so, è un problema con cui mi scontro quotidianamente. Ma è indubbio – e i pasticceri lo sanno bene – che se una posizione costa è perché ha valore, al contrario non funziona.
Trasformare una location in una destination, ovvero aprire in un posto dove si deve andare apposta e non dove si passa, non è impossibile ma è certo molto difficile, in particolare per la pasticceria. E comunque esiste già nel nostro mondo: più o meno tutte le pasticcerie di successo sono così e se volete provare i grandi maestri dovete andare a Brescia, Padova, Minori in Costiera Amalfitana.
(A cura della redazione)
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