“quasi quasi mi iscrivo a un corso di cucina”. Quanti l’hanno pensato e quanti l’hanno fatto? Sono numerosissime le proposte, più o meno serie. Quando però sono i veri chef a insegnare, gli allievi si trovano davanti alla possibilità non solo di imparare tecniche, ma anche di incontrare storie e personalità di volta in volta diverse.
A cura di Daniela Guaiti
«Ho sempre insegnato, fin dall’inizio, all’Alma, con Marchesi. Quando nel 2008 ho aperto il mio ristorante è stato naturale proseguire in questo senso». Per Silvio Salmoiraghi, chef del Ristorante Acquerello di Fagnano Olona salire in cattedra è stato un passo naturale: le sue lezioni sono una guida per realizzare piatti della tradizione italiana; insieme ai suoi collaboratori, guida i corsisti tra cenni storici e teorici a preparare le specialità proposte, in un percorso che si articola in 5 lezioni. Corsisti che arrivano da Lugano come da Milano: «qui è tutto più rilassato, secondo me. Un corso a Milano è più stressante, in città bisogna correre. Gli allievi vengono anche per fare amicizia: ci sono tanti ragazzi e ragazze single, dai 29 anni in su, ma non mancano i professionisti, i docenti dell’alberghiero, gli altri ristoratori. Penso che la cucina italiana si possa insegnare ugualmente a dilettanti e professionisti: è una cucina che non vive di tecniche, come quella giapponese, ma di palato, e che possono fare tutti».
Corsi rigorosamente non professionali sono quelli proposti da Daniel Canzian al ristorante Daniel. «Seguiamo i cardini della mia cucina, la stagionalità e una sana e corretta nutrizione, con l’obiettivo di portare i corsisti, attraverso i piatti della mia cucina, a conoscere meglio i prodotti, a capire come cuocerli al meglio e come abbinarli tra di loro. L’importante non è che imparino a rifare il mio Risotto al limone, sugo d’arrosto e liquirizia (in questo caso si porterebbero a casa semplicemente una ricetta), ma che capiscano come coniugare i vari ingredienti: in frigo abbiamo sempre tanti contenitori aperti, imparare a usarli correttamente, sposando tra di loro i sapori, è fondamentale». Una filosofia, quella dello chef, che viene trasmessa agli allievi in 5 giornate di lezioni tra discussioni, spiegazioni e assaggi. La quinta giornata è dedicata a una sorta di “team building”: «lavoriamo con piccoli gruppi, 7/8 persone, al massimo 10. Nell’ultima lezione dovranno preparare un menu, che poi serviranno per sé e per gli amici che hanno invitato». Niente a che fare con la cucina vista in tv: «c’è un interesse straordinario per queste cose, eppure la cucina gourmet è sempre più lontana dal pubblico. La gente si limita a guardare, a osservare cose che poi non è in grado di replicare. Invece le nostre competenze devono essere a disposizione del pubblico, ci dobbiamo riavvicinare».
Del resto l’importanza dell’insegnamento era ben chiara al Maestro dei maestri, Gualtiero Marchesi: la sua Accademia propone ancora oggi corsi per appassionati e per professionisti. Da quattro anni docente dell’Accademia, Fabio Zago sottolinea come «Lavorare per e con il signor Marchesi è un onore: per me un sogno che si avvera. In calendario sono presenti corsi di cucina di base e corsi dove si possono realizzare, sia in cattedra, sia in postazione individuali i piatti storici “Marchesiani” come ad esempio riso, oro e zafferano: la scuola si propone di raccontare la cucina italiana vista con gli occhi del Maestro». Un percorso che arricchisce sicuramente gli studenti ma che offre tanto anche agli insegnanti. Continua lo chef Zago: «È un lavoro che mi consente di incontrare quotidianamente persone di grande spessore umano e professionale. Ma non solo: è un lavoro che mi consente di cucinare con passione piatti importanti, educando all’applicazione del metodo e delle tecniche corrette, e insieme raccontando storie che credo siano affascinanti e divertenti».
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