La manifestazione, nata dalla volontà di Dany Stauffacher di portare in Canton Ticino il meglio dell’enogastronomia internazionale, è giunta alla sedicesima edizione e ospita la Spagna, patria degli chef forse più innovativi al mondo.
Lo chef Claudio Bollini del Seven Lugano e la sua brigata, il 30 e 31 ottobre 2022 hanno ospitato Mario Sandoval del Coque di Madrid, due Stelle Michelin e una Stella Verde Michelin in una delle Official Nights di S.Pellegrino Sapori Ticino. «Siamo molto contenti, le serate sono sempre esaurite, anzi quest’anno abbiamo anche aggiunto tre date. Come sempre la cucina ha un grande potere di aggregazione», evidenzia Dany Stauffacher.
La cena: sapori decisi
Dopo gli amuse bouche a tema Jamón Ibéricodi cui Chef Sandoval è Ambasciatore, è stato servito in apertura “Gelato al pistacchio, caviale e spuma di birra di frumento”.
A seguire “Carpaccio di gambero rosso con il suo ristretto” e “Ceviche di branzino selvatico”.
Ancora “Riso cremoso ai funghi porcini e parmigiano con pinoli tostati e germogli” e “Piccione e chanterelle”.
In chiusura il dessert “Esotico di mango e frutto della passione”.
Piatti dai sapori decisi e netti, non ruffiani direbbe qualcuno, con un occhio particolare alla grandezza delle materie prime e che si fanno ricordare. Se possiamo azzardare un paragone non politicamente corretto, diremmo: una cucina virile.
Conosciamo meglio lo chef Mario Sandoval: l’intervista allo chef
Che cosa significa Coque?
Coque era il nome del mio nonno materno, il fondatore. Chi cucinava però era la nonna, Isidra. Lei aveva il dono della cucina che ha trasmesso a mia madre e poi a me.
La sua cucina è memoria o sperimentazione?
È memoria guardando al futuro. Non posso prescindere dai sapori che ho sempre conosciuto, ma siccome sono curioso, mi piace imparare cose nuove. Posso definire la mia una cucina di avanguardia con radici antiche. Per me i prodotti sono fondamentali e non antepongo mai la tecnica al sapore.
Lei ha collaborato a diverse ricerche con il CSIC Consiglio Superiore delle Ricerche Scientifiche. Parole come gastrogenomica, estrazioni di fluidi supercritici, idrolisi dell’uovo sono magia per i profani del settore…
Ho avuto la fortuna di conoscere una ricercatrice cui interessava la mia lingua, cioè la cucina; a me interessava la sua, cioè la scienza. Il tempo e lo spazio sono coincisi e abbiamo cominciato a collaborare. Un giorno mi chiama una ricercatrice, Marta Miguel: “sono dell’Istituto per lo Studio dell’Uovo”. Io avevo solo ventitre anni, pensavo fosse uno scherzo. Marta Miguel aveva scritto una tesi sull’idrolisi dell’uovo, che aveva ricevuto un premio. Voleva perfezionare il risultato che allora poteva essere impiegato solo per uso cosmetico perché era molto amaro. Così abbiamo cominciato a collaborare, ma dopo tre anni senza risultati apprezzabili io ero pronto ad arrendermi. E invece è avvenuto il miracolo. Avevamo prodotto un enzima non amaro che dava risultati molto interessanti. Con albumi e sale è simile al formaggio fresco, zuccherato somiglia a una cagliata, invece con tuorlo e vaniglia è una crema senza glutine. Un composto versatile e salutare: è ad esempio un ottimo antipertensivo e abbassa la quantità di grasso nel tuorlo. Avevamo creato il formaggio di gallina! Vi regalo un’anticipazione. Uscirà a gennaio sul mercato un prodotto che di fatto è latte d’uovo: altamente proteico, senza i problemi che può dare il lattosio ma con il sapore del latte. Sono proteine pulite, di alta qualità e buone. Dall’idea alla realizzazione industriale ne è passato di tempo, ma se questo prodotto funziona sarà la mia pensione!
Per rimanere in ambito scientifico: cosa intende per vinificazione degli alimenti?
Il mio caro amico viticultore Carlos Moro nelle sue cantine aveva cominciato a produrre vino senza alcol. Nel processo di lavorazione dalla buccia d’uva disidratata otteneva polifenoli liquidi. Mi regalò una bottiglia di polifenolo liquido, potentissimo antiossidante e antimicotico oltre che un colorante naturale. Cominciai a usarlo in cucina ma liquido non andava bene: mi dava problemi col pane e la pasticceria. In seguito, sempre con il CSIC, siamo riusciti a polverizzare i polifenoli, che si possono usare come una spezia, con mille impieghi possibili in cucina.
Queste ricerche sono nate a quale scopo?
Tutte le nostre ricerche hanno sempre avuto l’ambizione di creare una cucina più salutare e di aprire nuove vie nella gastronomia. Se io avessi continuato con le tecniche di Ferran Adrià, il primo di noi cuochi che ha avviato un dialogo con la scienza, sarebbe stato solo copiare. Dovevo trovare il mio modo di espressione e provare cose nuove. La fortuna è stata trovare una buona squadra! Ferran Adrià dopo la morte del suo socio non ha avuto più voglia di continuare. Il progetto era comune e da solo non avrebbe avuto senso. Per me è lo stesso: se uno dei membri della mia squadra, i miei fratelli, se ne andasse, io aprirei un chiringuito sulla spiaggia! Con i fluidi supercritici, per esempio ci siamo sbagliati. La professoressa Elena Ibañez ed io, volevamo scoprire se si poteva davvero ottenere olio di tartufo bianco. Non si può! Da un chilo di tartufi siamo riusciti a estrarre 0.006 g di olio naturale. Il tartufo è composto in gran parte da acqua, la lavorazione non è sostenibile economicamente. Tutto quello che viene spacciato come olio di tartufo non è naturale ma sintetico, deriva dalla molecola del carciofo o del catrame, e non può far bene.
A proposito di ciò che fa bene al pianeta: il Coque ha una stella verde Michelin. Significa che adottate pratiche sostenibili. Quali in concreto?
Tutto ciò che fa bene al pianeta ha a che fare con la filosofia del lavoro. Noi abbiamo una tenuta a Nord di Madrid, all’Escorial, in cui teniamo animali e coltiviamo degli orti. In accordo con l’Istituto Agrario Alimentare di Madrid abbiamo cominciato un recupero di sementi antiche del Re Filippo II, per esempio fragole arrivate da Parigi, oppure varietà perdute di pomodori e frutta. Abbiamo un orto-laboratorio di tremila metri in cui ricerchiamo appunto il germoplasma vegetale per salvare dall’estinzione le piante rare. La conseguenza è il recupero di un ecosistema di flora e fauna che erano tipiche della zona e che diventerà El Coque Farm, ispirata al Blue Hill at Stone Barns di Dan Barber, a una settantina di chilometri da New York. Questa è solo una parte del nostro pensiero. Anche un ristorante può inquinare moltissimo se non si presta attenzione. Già a partire dalla ristrutturazione degli spazi che ospitano il Coque abbiamo usato solo materiali riciclati, l’illuminazione è a basso consumo, anche in cucina impieghiamo materiali riciclabili e cerchiamo di usare solo fornitori che abbiano le certificazioni di sostenibilità. La nostra filosofia è quella dell’impatto zero. D’altra parte ho quattro figli e voglio che possano vivere in un pianeta più pulito.
Parliamo della cena per S.Pellegrino Sapori Ticino. Quale dei piatti che ha portato la rappresenta di più?
Senz’altro il piccione, quello più complesso e con un grande lavoro dietro. Qui ho portato dei piatti “tranquilli”, che rappresentano la nostra filosofia ma sono più semplici da realizzare. Avrei portato volentieri il cochinillo, un piatto iconico per noi, però non ho voluto rischiare. La verità è che la nostra cucina si capisce appieno al Coque, come è ovvio. E poi al Coque si viene non solo per un pasto ma per un’esperienza.
Per cosa le piacerebbe essere ricordato?
Oh! Questa è una bella domanda. Ho in mente di rendere l’alta cucina accessibile a tutti. Per fare questo occorre un centro per la trasformazione degli alimenti che si chiamerà Coque World Kitchen Center. Si dovrà partire dai fornitori in modo da avere la garanzia di avere prodotti di alta qualità al giusto prezzo, che saranno poi trasformati e mandati a ospedali, scuole, università a livello europeo. È un progetto enorme, ci vorranno almeno vent’anni per metterlo a punto. Stiamo facendo uno studio di fattibilità ma abbiamo già individuato un terreno che potrebbe fare al caso nostro, proprio vicino all’aeroporto di Madrid, in modo che tutti gli alimenti possano essere spediti quasi in tempo reale. In una settimana si potrebbero produrre cinquanta milioni di piatti, uno per ogni spagnolo. Più che un sogno è un progetto visionario,di educazione alimentare globale. Speriamo che riesca a realizzarlo!
a cura di Daniela Acquadro
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