Ambiti diversi che rappresentano due facce della stessa medaglia, in un gioco di squadra da gestire e saper creare: il parere di tre chef imprenditori, membri dell’Associazione JRE Italia.
Due facce della stessa medaglia, sala e cucina: quella della ristorazione. Ambiti diversi che si compenetrano e rappresentano in egual modo fondamenta e motore del successo di una attività. Un concetto che sta sempre più diventando chiaro, non soltanto nel fine dining ma anche nella ristorazione più tradizionale. Perché se è vero che mangiare bene è fondamentale, lo è altrettanto essere accolti bene.
Ma come si armonizzano e gestiscono queste due anime di un’unica realtà?
Lo abbiamo chiesto a tre chef imprenditori, distanti tra loro territorialmente, ma accumunati dalla passione per la cucina e ospitalità italiana. Non solo, tutti e tre sono membri dell’Associazione JRE Italia, che raccoglie i più giovani e rappresentativi chef dell’alta ristorazione.
Armonia tra sala e cucina: la parola agli chef imprenditori
Si tratta di Daniel Canzian del Ristorante Daniel a Milano; Stefano Di Gennaro del Ristorante Quintessenza a Trani e Stefano Pinciaroli del PS Ristorante a Cerreto Guidi.
Secondo voi, quanto conta la sintonia tra sala e cucina?
«Non è solo importante, è fondamentale. Senza sintonia non si può andare da nessuna parte, motivo per il quale l’uno non deve mai sovrastare l’altro. Deve essere un’unica squadra con ruoli differenti», afferma Daniel Canzian.
Dello stesso pensiero anche Stefano Di Gennaro: «Essere motivati, avere ambizioni di crescita, fare squadra è essenziale. Permette che il lavoro svolto in cucina sia ben valorizzato. Per me la sala rappresenta il 51% di un progetto. Tutto parte dall’accoglienza, per poi arrivare al servizio e infine alla cucina. Noi possiamo fare i fuochi di artificio ma se un piatto, un concetto, non viene raccontato bene, il lavoro che svogliamo non vale tanto».
Un “connubio perfetto”, così lo interpreta Stefano Pinciaroli, pienamente in linea con i suoi colleghi: «Sono convinto che sala e cucina abbiano lo stesso valore. L’una non può essere esaltata senza l’altra».
Come gestite la brigata di sala e quella di cucina?
Racconta Canzian: Ci sono due impostazioni differenti a livello di gestione, con ruoli ben distinti, ma io li fondo. Non ho problemi ad andare in sala a servire un piatto o sbarazzare un tavolo. Forse questo mio essere nel mezzo aiuta a non creare differenze ma solo collaborazione. C’è molta interazione tra i camerieri in cucina e i cuochi in sala. Regole comuni gestite da briefing fatte tre volte al giorno».
Per Stefano Di Gennaro è un lavoro di famiglia: «In realtà, per fortuna, la brigata di sala è gestita dai miei fratelli. Io osservo proprio perché è giusto che ognuno abbia un ruolo definito. Tendiamo a confrontarci molto, analizzare ogni servizio per crescere e migliorare quotidianamente. In cucina, invece, cerco di mantenere sempre gli equilibri saldi. Credo che il compito di un cuoco oggi sia anche quello di trasmettere serenità alla propria brigata, sicurezza. Soprattutto è importante essere di esempio e far sentire tutti quanti valorizzati allo stesso modo».
«Brigata di sala e cucina hanno una gestione diversa, come diversa è la gerarchia», sottolinea Stefano Pinciaroli. Prosegue lo chef: In generale c’è un iter preciso. Ogni volta che penso e creo un menu, vengono fatti assaggiare i piatti ai ragazzi, spiegata la filosofia di ogni portata. Poi, con maître e sommelier, facciamo l’abbinamento. Tutto il personale, le due brigate, sono preparate in egual modo».
Quali caratteristiche osservate e tenete in considerazione nella selezione del personale di sala e cucina?
Dice Daniel Canzian: «Prima di tutto li faccio parlare, li ascolto. Cerco molto l’empatia e provo a capire quanta sia la voglia di apprendere. È ovvio che ci sia una suddivisione dei ruoli ma quello che voglio comunicare è che tutti sono dei rappresentati del ristorante, il biglietto da visita. Per questo in fase di colloquio provo a comprendere se c’è apertura e disponibilità in questo senso. Ciò vale sia per sala sia per cucina».
Professionalità ma non solo per Stefano Di Gennaro: «Analizziamo i curriculum che ci arrivano, ma guardiamo tanto e diamo valore al lato umano. Siamo convinti sia imprescindibile, più del lato professionale. Un collaboratore può sempre crescere mettendosi in gioco. Cerchiamo quindi di far entrare nel gruppo persone che si sentano davvero parte di questa famiglia».
Dello stesso avviso Stefano Pinciaroli: «Non è tanto l’esperienza quella che ricerco, piuttosto la passione, la voglia di fare e mettersi in gioco. Il buon senso è sempre vincente. Ci sono persone che da tanti anni fanno questo mestiere ma non riescono a esprimere il legame che hanno con esso. Conta tanto anche il percepire chi si ha davanti».
In virtù di quanto detto, quanto è complesso trovare personale motivato e preparato?
«Oggi è molto complesso», evidenzia Canzian, «Certo dipende anche da come ci si pone e si ragiona nei loro confronti. Dobbiamo farli sentire parte integrante del progetto. Dobbiamo avere una idea chiara e limpida di dove stiamo andando e trasmetterla a chi lavora per noi».
«Sono convinto che mai come in questo momento servirebbe una vera e propria riforma del nostro settore. Non penso che il problema sia la mancanza di personale preparato o motivato, piuttosto il fatto che ci si è resi conto che la vita non è solo questo. », aggiunge Di Gennaro.
Anche per Pinciaroli comprendere le esigenze dei lavoratori è diventato ormai un aspetto primario: «Tutti siamo molto in difficoltà e i tempi stanno cambiando. Non è tanto la retribuzione a fare la differenza, molti ragazzi preferiscono il tempo libero ed è giusto. È importante avere gli spazi da dedicare a sé stessi, agli hobby o alla famiglia».
Quali azioni mettete dunque in atto a livello di motivazione?
Daniel Canzian cita il Maestro Gualtiero Marchesi, “L’esempio è la più alta forma di insegnamento” , per spiegare il suo pensiero: «Devo imparare a essere di esempio per i miei collaboratori. Motivarli ogni giorno e spiegare loro la rotta che stiamo seguendo, le scelte fatte in modo che mi capiscano e siano dalla mia parte. Si traduce in attività, briefing continui e una visione di almeno 6/8 mesi».
Condivisione e serenità sono punti fermi per Stefano Pinciaroli: «Sviluppiamo un sistema tale che porti le persone a venire a lavorare con il sorriso, senza timori. Certo poi si possono dare anche dei piccoli premi che non devono essere solo e per forza in denaro, ma anche come esperienze. Ci capita anche di organizzare delle feste per celebrare un risultato».
«Cerchiamo di coinvolgere tutto lo staff con attività quali visite in cantina, in aziende, oppure in progetti futuri. Insomma, in tutto quello che può permetterci di crescere professionalmente e far crescere il nostro team. Vogliamo semplicemente di trasmettere l’importanza che hanno per il nostro progetto, di quanto fondamentale sia il loro contributo», conclude Stefano Di Gennaro.
In apertura: foto Adobe Stock
a cura di Redazione Italian Gourmet
Condividi l'articolo
Scegli su quale Social Network vuoi condividere