Savigno è un piccolo comune nell’Appennino bolognese, poco più di 2000 abitanti, raggiungibile in circa quaranta minuti di strada da Bologna.
Oltre al dolce paesaggio collinare, d’autunno a Savigno si ammirano i colori, caldi, terrosi e fiammeggianti di rosso e di giallo. Ma il vero protagonista della stagione qui è il tartufo bianco pregiato: il centro del paese durante i primi tre fine settimana di novembre è completamente animato da Tartòfla, la manifestazione che da 36 anni celebra il più prezioso tra i funghi ipogei durante il periodo della sua massima espressione, con numeri di tutto rispetto, circa sessantamila le presenze.
Degustazioni, ristoranti con menu a tema, espositori con stand che si susseguono in uno snodo gastronomico-peccaminoso lungo il paese: dalla crema di Gorgonzola al tartufo agli arrosticini tartufati, dalla polenta con crema di tartufo alle uova che a contatto ne assorbono il profumo e lo restituiscono una volta cotte.
Il 2019 è stata un’annata meno generosa della precedente quanto alla raccolta: minori piogge hanno creato un clima più sfavorevole allo sviluppo di tartufi. Le quotazioni si aggirano attorno ai 250 euro l’etto e subiscono oscillazioni che variano di settimana in settimana. Il prezzo poi non lo decide solo il peso ma anche la forma del tartufo: una forma più regolare, che consente una lamellatura più uniforme sul piatto e una maggiore facilità nella pulizia, rendono più pregiato un tartufo rispetto a un altro dello stesso peso. Tra gli stand di Tartofla non è difficile vedersi aggirare Luigi Dattilo, fondatore, assieme al fratello Angelo, e presidente di Appennino Food Group, un’azienda che conta 160 referenze ma che ha nel tartufo il suo core business.
Luigi Dattilo è loquace e si dimostra un imprenditore appassionato, persino innamorato del proprio lavoro. Il racconto del proprio lavoro è una più che legittima forma di marketing, oggi più importante che mai.
Dattilo però va oltre la “narrazione aziendale”, ti racconta la sua di vita e lo fa con un tale entusiasmo, unito a una profonda conoscenza, che in parte almeno lo distinguono da altre narrazioni.
Quando parla dei colli attorno a Savigno, di piante sotto le quali il tartufo nasce e si sviluppa, di cinghiali, nutrie e roditori che abitano il bosco, fino alla minuta descrizione dei modi per insegnare ai cani la ricerca del tartufo, sparisce quasi l’imprenditore e sembra di avere di fronte un agronomo e non il direttore di un’azienda oggi quotata in Borsa.
“Il tartufo ce l’hai dentro” ci racconta, e la sua è stata una vera folgorazione adolescenziale: a 17 anni, da sempre innamorato di animali e di piante, chiese al padre un cane da tartufo al posto dell’auto alla quale avrebbe avuto “diritto” entrando nella maggiore età.
Da lì un percorso prima da cercatore di tartufi e da commerciale e poi da imprenditore. Una delle chiavi del suo successo è stata probabilmente quella di avere una strategia precisa: puntare sul prodotto, da conoscere e rispettare, e sulle persone. Crescendo negli anni può diventare difficile mantenere alta l’asticella della qualità: la bravura sta nel riuscire a fare in modo che la strategia non venga rallentata dalle opportunità. Savigno è sede dell’azienda dal 2012. “Non siamo un capannone ma un gruppo di persone” ci anticipa Luigi: la visita rivela ben più di un capannone ma una vera e propria realtà 2.0. Dal settore dedicato alla ricezione della materia prima, ai reparti di cottura, sterilizzazione, conservazione di funghi e tartufi in celle che riproducono un microclima da sottobosco, fino ai reparti di etichettamento e spedizione, tutto ha un’aria efficiente e ordinata.
Senza dimenticare quell’angolo particolare dedicato alla fotografia: un vero set dove i tartufi appena raccolti vengono fotografati e messi online, per raggiungere chiunque B2B in ogni parte del mondo. Il capannone assume a questo punto un’aria da azienda svizzera dal volto umano, organizzazione e precisione unite alla bonomia e alla cordialità tutte emiliane.
Il volto animale, in particolare il naso che fa il vero lavoro, è quello di Macchia, un lagotto romagnolo femmina di nove anni che, perlustrando i boschi attorno all’azienda, scova veri tesori. Il tartufo vive in simbiosi con gli alberi, in particolare con le radici di quercia, nocciolo, tiglio, carpino nero e pioppo. Costituito soprattutto d’acqua, impiega poco tempo a formarsi, e al culmine della maturazione sprigiona il forte odore che fa da richiamo, per farsi trovare e potersi così riprodurre grazie agli animali che ne spargono le spore. Una razza che ben si presta a questo lavoro è il lagotto, addestrata in modo da ignorare l’istinto venatorio e concentrata sul richiamo olfattivo del tartufo. Oltre ai tartufi Macchia ricerca con una certa naturalezza le coccole e si dimostra palesemente innamorata del proprio padrone, il Signor Adriano, che, oltre a farci da guida nel bosco è stato tra i promotori della prima edizione di Tartòfla.
Macchia e i suoi antenati da queste parti si sono sempre distinti nella caccia al tartufo: grazie a uno di questi strepitosi cani, nel 2014 Appennino Food ha registrato un primato mondiale con il ritrovamento di un tartufo da 1 kg e 483 grammi. Più straordinario ancora del ritrovamento è stata la fine che ha fatto l’oggetto da Guinness dei primati: centinaia di lamelle sono andate a condire i piatti di una cena offerta da Appennino Food.
I Colli Bolognesi sono generosi di tartufo tutto l’anno, se quello bianco pregiato è la punta di diamante, con una precisa e limitata stagionalità, negli altri periodi dell’anno si trova il Bianchetto di colore rosso-bruno, lo Scorzone detto anche estivo e di colore nero, e quello nero invernale. I criteri per riconoscerne uno buono sono tre, parola di Dattilo: Consistenza (compatta), Colore (brillante) e Profumo (distinto e armonioso).
L’offerta gastronomica della zona risente positivamente della prossimità coi tartufi. Da queste parti brilla anche una stella Michelin, quella della Trattoria da Amerigo 1934.
Ambiente d’altri tempi ma estremamente curato, la ricerca del dettaglio negli arredi è evidente e negli anni si è spostata dal ristorante alla Locanda. Qui il patron del ristorante, Alberto Bettini, ha restaurato una vecchia casa del paese ricavando da legnaia, soffitta e fienile altrettanti ambienti ospitali. Cinque deliziose camere con un’impronta del tutto personale: non una locanda che strizza l’occhio al passato senza criterio e nemmeno un minimalismo di design fuori contesto. Piuttosto un giusto mix tra il recupero di oggetti di design, ma non solo, degli ultimi cento anni, dove anche una vecchia staccionata può diventare la testata del letto.
Alla tavola di Amerigo 1934 si fa ristorazione da quattro generazioni.
La sfoglia all’uovo per la pasta fresca è una passione che impegna il ristorante a realizzarla a mano almeno tre volte alla settimana, all’ingresso del locale più del porta ombrelli si fa notare un porta mattarelli, considerevole collezione di strumenti per creare meraviglie con farina e uova.
Il tartufo finisce sui piatti a lamelle, sottili il giusto e a forma di petalo, che si inarcano sopra il calore di tagliatelle e passatelli asciutti.
Spostandosi leggermente dal centro del paese si può godere di una bella vista sui colli e al tempo stesso continuare a gustare il tartufo, all’Agriturismo Mastrosasso ad esempio; su una golosa cotoletta alla bolognese sulla quale si posano tante “foglie” di tartufo bianco.
In queste zone si trovano facilmente locali schietti con una cucina del territorio spesso con ingredienti autoprodotti. Realtà che consentono al visitatore di portarsi casa un ricordo gastronomico: i vini realizzati all’Agriturismo Mastrosasso, i prodotti gastronomici in barattolo della Dispensa di Amerigo 1934.
Un vero eden gastronomico quello di Savingo, ritratto anche in una sala del ristorante Amerigo 1934: interamente affrescata da Gino Pellgrini e chiamata “Il Bosco delle meraviglie di Amerigo”. Vero tripudio di flora e di fauna, un po’ onirica e un po’ Appenninica, dove non manca anche un Lagotto che tiene in bocca un tartufo, e dove persino il serpente tentatore al posto della mela ha un tartufo da offrire. Il cartello sotto al serpente lancia un invito al quale è difficile resistere: lasciatevi tentare.
a cura di Roberto Magro
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