Dal primo marzo in Svizzera sarà vietato bollire le aragoste ancora vive: una notizia che fa discutere, come fa discutere una consuetudine radicata ma non accettata da tutti.
a cura di Daniela Guaiti
La notizia non lascia indifferenti gli appassionati di cucina: niente più aragoste vive in pentola. Tuttavia non si tratta certo di un fulmine a ciel sereno. In Italia molti regolamenti comunali (da Monza a Bari) si esprimono contro la stessa pratica, e una sentenza della Corte di Cassazione dello scorso giugno si è pronunciata contro la pratica di tenere i crostacei vivi in frigorifero con le chele legate. Maltrattamenti, perché di questo si tratta, presi in considerazione già nel quadro del Regolamento CE n. 1099/2009, relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento. Un tema, quello del benessere dei crostacei, che si collega dunque a quello più generico del benessere animale: “per quanto riguarda genericamente i pesci esistono studi particolareggiati che dimostrano come questi animali siano senzienti, capaci cioè di provare dolore e di reagire allo stress” spiega la professoressa Maria Luisa Cortesi, presidente di Assoittica Italia, che sottolinea anche come “quando si parla di commercializzazione dei crostacei, ‘vivo’ è una categoria di freschezza che indica maggior pregio dal punto di vista merceologico. In Svizzera, come in gran parte dei Paesi più evoluti, c’è una grande sensibilità per le tematiche legate al benessere animale. Il punto cruciale è stabilire in che modo aragoste, e crostacei in genere, possano soffrire meno al momento della macellazione, perché anche per questi animali destinati al consumo umano si parla di stordimento prima della macellazione”.
Diversa la prospettiva, sicuramente meno scientifica, in cui il problema viene inquadrato da chef e gourmet.
“La legge svizzera si riferisce soprattutto ad astice ed aragosta che hanno una vita fuori dall’acqua più lunga rispetti ad altri crostacei, può dunque sembrare crudele ma è sempre stato così in cucina per garantire freschezza e gusto”. Così Lino Scarallo chef resident di Palazzo Pertrucci (http://www.palazzopetrucci.it/ ) di Napoli, 1 stella Michelin, che continua: “Io personalmente adopero un’altra tecnica quando cucino l’astice: non lo uccido in acqua bollente, ma lo metto in frigorifero e solo dopo ne stacco chele e testa e poi lo cucino in padella. La cucina ha tecniche di lavorazione a volte anche più estreme, basti pensare all’uccisione della cacciagione, piuttosto che alla procedura per ottenere foie gras che è vera tortura”.
Del tutto negativo, infine, il parere di Alberto Annarumma de La casa del Nonno 13 (http://www.casadelnonno13.it/ ), Mercato San Severino, Salerno, una stella Michelin: “Non condivido questa legge: un cuoco sa bene che è necessario disporre di aragoste vive per la propria cucina, questo per garantire la bontà del prodotto e la sua resa nel piatto. Come cucinarle è una scelta, che tuttavia non può prescindere dall’animale vivo, perché solo un animale vivo ha una polpa carnosa. La decisione pertanto non è su come cucinare l’aragosta o l’astice ma se cucinarla o meno, se proporla o meno in carta”.
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