Alessandro Pipero mattatore, a Roma, del ristorante stellato che porta il suo nome sala è attento ai tovagliati ma anche alla tecnologia. Per esempio, se chiamate…
a cura di Mariarosaria Bruno
foto Andrea di Lorenzo
«La Roma, la psicologia delle donne e la sala». Così descrive le sue passioni Alessandro Pipero, maître e mattatore del ristorante stellato che porta il suo nome nella città capitolina. Instancabile lavoratore e istrionico professionista, negli anni è riuscito a creare uno stile unico e inconfondibile: una regia che sigla in maniera inequivocabile la piperitudine, plasmando ad arte un servizio di sala attento e cordiale, ironico e versatile.
Un savoir-faire al passo coi tempi, che sdrammatizza l’esperienza gastronomica stellata attraverso una comunicazione efficace, senza rinunciare all’importanza dei dettagli. «Sono elegante, ma non sono fine, non servo mai da destra: ho trovato le mie regole e il mio stile».
Chi lo ama, lo segue. All’inizio ad Albano Laziale, sede del suo primo ristorante, aperto nel 2008, poi nella capitale: dal 2012 all’Hotel Rex e, infine, nell’oasi gourmet di Corso Vittorio Emanuele, di fronte alla Chiesa Nuova, dove nel febbraio 2017 si è trasferito con la sua fida brigata.
«Più che la figura del maître, oggi esiste la persona intelligente», recita il Pipero-pensiero, «che non è solo colui che apparecchia, prende le prenotazioni e le comande: il 90% della mia giornata è lavoro, il resto è privato».
Sì, perché dietro un’accoglienza impeccabile, c’è l’opera invisibile di chi ha la consapevolezza che l’esito di una cena ruoti attorno all’ospitalità del padrone di casa, che deve entrare nel vivo della serata in punta di piedi, carpendo la psicologia di chi si ha di fronte. Un’attività che comincia al mattino presto e termina la sera, prima di andare a dormire, e che non non conosce interruzioni.
Come è scandita la sua giornata? «Mi sveglio alle 8.30-9, esco verso le 10 e rincaso all’1 di notte, pensando a come è andata la cena, alle strategie da adottare, al nuovo cliente. Adesso, non essendopiù dipendente, sbrigo altre commissioni prima del servizio: dal sopralluogo per una cena alla banca, al caffè col socio, alle interviste», racconta. «In quelle due o tre ore prima di arrivare al ristorante ho già smaltito del lavoro: mi chiama il personale, il fornitore, il cliente, mando messaggi di ringraziamento agli ospiti della sera prima. Mi coordino sempre con Achille Sardiello, il mio braccio destro, ma anche con lo chef Luciano Monosilio».
Una professione che non è fatta solo di controlli a tovagliati e mise en place, ma che abbraccia ogni aspetto della ristorazione, a partire dalle prenotazioni. «La risposta al telefono è importantissima, fa il 40% della riuscita della serata stessa», commenta il navigato maître. Con un metodo tutto suo, Pipero inquadra l’ospite ancor prima di accoglierlo al ristorante.
«Ho il trasferimento di chiamata sul mio cellulare, quindi rispondo sempre io, dicendo “Buonasera, sono Alessandro Pipero”: niente segreterie o ragazzi in stage, si dà subito un’altra impressione».
Il metodo-Pipero, poi, prevede sempre qualche domanda tattica. «Come ci ha conosciuto? Se fanno riferimento alla guida Michelin, per esempio, capisco che parliamo la stessa lingua. Altrimenti, se la replica è una frase come “Un amico mio mi ha detto che se magna bene”, capisco che dall’altra parte c’è qualcuno che vuole riservare senza sapere nulla di noi e magari si aspetta di soddisfare l’appetito con tre chili di ostriche».
Il passo successivo? «Memorizzo il numero su WhatsApp, dove nella maggior parte dei casi vedo la foto di chi ha chiamato. Al momento del briefing con il personale, condivido l’immagine sul nostro gruppo interno di WhatsApp, in modo che tutti riconoscano la faccia dell’ospite.
Così, quando apriamo la porta per accoglierlo, possiamo chiamarlo per nome. “Buonasera signor Rossi”: diamo immediatamente una bella impressione, l’idea della buona accoglienza».
A proposito di strumenti digitali, nell’era del 3.0, un maître come Pipero cura personalmente la comunicazione, senza intermediari. Ecco allora divertenti post che raccontano in prima persona aneddoti ed esperienze di sala, ma anche analisi ragionate dei profili social degli avventori.
«Ci sono persone che vengono a Roma per compiere il tour dei ristoranti stellati: se dal loro Instagram vedo che la sera prima hanno mangiato il piccione, eviterò di proporlo il giorno seguente», rivela.
Nulla lasciato al caso, dunque, compreso il coordinamento dello staff, un altro aspetto estremamente importante per chi ha in pugno il mestiere. «La prima cosa che faccio quando arrivo al ristorante è salutare i ragazzi e controllare che tutti i reparti lavorino, quindi si procede con l’organizzazione del pranzo e si vedono i prenotati per la cena, il momento di massima affluenza. Parlo con Luciano per le faccende gastronomiche, con Achille analizzo questioni come il pagamento dei fornitori e i turni, con il sommelier mi confronto sulle etichette che mancano». Il momento più importante, però, è la riunione serale. «Arrivo per le 18 e vado a prendere un caffè con i responsabili dei vari reparti, che mi raccontano come procedono i ragazzi: tutti dipendono da me, ma ognuno ha la sua squadra», precisa.
Poi? «Ci cambiamo insieme, tra chiacchiere e risate, e questo è fondamentale perché si fa gruppo: l’affiatamento del team è tutto per un ristorante».
Prima del servizio, ecco il briefing, momento cruciale che determina le sorti della serata. «È il frangente in cui lascio indicazioni precise», commenta il nostro. Qualche esempio? «Il tavolo 4 ha bisogno di coccole, il tavolo 3 è composto da nuovi clienti, il tavolo 2 è occupato da una sola persona e potrebbe essere l’ispettore di una guida, fate attenzione».
Terminato il servizio? «Mi cambio, vado via, chiamo la mia compagna Anna Maria e mi incammino verso casa in macchina, sempre pensando al lavoro: telefono ad Achille, che fa la chiusura, per dare le ultime indicazioni relative al trattamento degli ospiti, dallo sconto all’omaggio».
Una regia ineccepibile, che non conosce orari e che riflette un approccio fondato su umanità, empatia e intuito. «In base all’impostazione del maître si vedono tutti gli errori della brigata: non bisogna mai essere dei soldatini, ma è necessario agire di istinto», conclude il saggio patron.
Se il Re Sole diceva «Lo Stato sono io», per Pipero vale la massima «La Sala sono io».
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