Tutto quello che c'è da sapere sulla preparazione del tipico tonnetto striato essiccato giapponese, il katsuobushi. Ingredienti della cucina del Sol Levante da qualche tempo alla ribalta della cucina internazionale per il suo sapore particolare, particolarmente indicato per alcuni tipi di piatti.
La materia prima per il katsuobushi è il tonnetto striato, pesce piuttosto comune e si può pescare in tutto l’oceano Pacifico, come ben sanno i produttori della filiera industriale che lo pescano con sistemi massivi. I pochi produttori giapponesi che ancora lavorano questo pesce nella maniera artigianale (ne sono rimasti una decina, ma soltanto 50 anni fa erano oltre duecento) lo pescano ancora oggi con la canna da pesca, seguendo i banchi mentre si spostano verso nord.
Nelle cucine dei Paesi occidentali il katsuobushi – prelibatezza fatta con filetti di pesce affumicato e trattato – è entrato di prepotenza; non soltanto perché è un ingrediente indispensabile per il dashi, tipico brodo di pesce giapponese, pietra miliare della cucina del Sol Levante, ma perché si sposa meravigliosamente con risotti, uova e sughi dei nostri primi piatti. Il katsuobushi ha un gusto particolare, di difficile identificazione, che la gastronomia internazionale ha ricondotto al sapore umami (dal giapponese saporito), il quinto sapore dopo salato, dolce, amaro, acido.
Storia, preparazione e utilizzo del katsuobushi
La storia del katsuobushi si perde nella notte dei tempi, ma le prime testimonianze moderne della produzione di questo prodotto risalgono alla fine del 1500, quando veniva imbarcato in grossi quantitativi sulle navi e garantiva la sopravvivenza durante i lunghi viaggi.
La sua lavorazione segue fasi artigianali molto precise e dura all’incirca un anno. Una volta pescato il tonnetto, si taglia la testa e si divide il tronco in 4 filetti. Questo taglio viene effettuato immediatamente dopo la cattura (sulle barche o nei locali appositamente adibiti nei porti) e poi i tonnetti vengono portati nei laboratori di affumicatura e stagionatura. Dopo il trattamento il peso dei filetti si ridurrà al 20% del peso iniziale e il katsuobushi sarà così rigido da non riuscire a spezzarlo.
Prima di tutto si procede all’essiccazione dei filetti, che vengono esposti al sole e riparati dall’aggressione degli insetti. L’aria aperta e il calore li disidratano e ci vuole la sapienza del maestro artigiano per capire quando i filetti sono pronti per l’affumicatura.
Per l’affumicatura viene utilizzato il legno di faggio e il fuoco viene controllato per produrre un calore lento e profondo: in questo modo il katsuobushi si secca molto uniformemente anche all’interno. occorre circa un mese prima che questo procedimento termini.
Poi, per circa 5 mesi, i filetti vengono posti in un locale apposito a fermentare, con l’aggiunta di un fungo. Si tratta dell’Aspergillus glaucus, che produce muffe nobili e attiva gli amminoacidi che gli conferiscono quel particolare sapore. Terminata la fase della fermentazione comincia quella della stagionatura.
Il katsuobushi viene poi “dimenticato” per altri 4-5 mesi Solo dopo viene pulito e spazzolato per togliere ogni residuo di spore fungine, pronto per essere messo in commercio.
Come utilizzare il katsuobushi nelle ricette
Generalmente lo si può acquistare in fiocchi. È però preferibile procurarsi i filetti interi da grattugiare di volta in volta (metodo consigliato per la freschezza).
Il costo del katsuobushi artigianale è piuttosto alto ma più elevata è la qualità della materia prima, meno se ne dovrà impiegare per ottenere l’effetto desiderato.
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Tratto dal libro Tonno di Luigi Pomata
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a cura di Redazione Italian Gourmet
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