Alla scoperta del bianco dei Colli Tortonesi e del suo territorio. Un vino gastronomico, perfetto per lunghi affinamenti in bottiglia e per abbinamenti arditi, inconsueti, che s’immaginavano solo per i rossi.
Il Timorasso è sempre più amato dagli chef e più presente nelle carte dei vini.
“Un vitigno a bacca bianca, che si comporta come uno a bacca nera”. La frase di Gian Paolo Repetto, Presidente del Consorzio Tutela Vini Colli Tortonesi, per descrivere il Timorasso è chiara e incisiva.
Il più rosso dei bianchi è, già da qualche anno, una delle grandi sorprese della viticoltura italiana. In continua crescita, amato anche all’estero (circa il 40%, in salita, il valore dell’export), un’Anteprima annuale per degustare il nuovo millesimo sempre più attesa e frequentata.
Mettiamo a fuoco un vitigno, una denominazione e un terroir che troveremo sempre più spesso nelle carte dei vini e nei locali – e che già abbiamo incontrato al cinema, protagonista di una scena al ristorante del film di Veronesi del 2017 “Non è un paese per giovani”.
Il terroir del Timorasso
Circa 1250 ettari collocati nei quarantasei comuni che fanno da porta sud-orientale al Piemonte: il Tortonese, terra variegata e di saliscendi che hanno visto allenarsi il mitico Fausto Coppi, è uno spazio di marne azzurre dove il terreno è lo stesso presente nella dorsale che parte da Barolo e regala ai vini originalità e un carattere atipico. E che oltre al Derthona-Timorasso produce il Monleale Barbera insieme a Croatina, Cortese e Dolcetto.
Il Timorasso, con i suoi 330 ettari, è il terzo vitigno più coltivato dopo Barbera e Cortese, ma la crescita dei nuovi impianti fa pensare che presto potrebbe avvenire un sorpasso.
Walter Massa, il pioniere
Oggi i soci del Consorzio Tutela Vini Colli Tortonesi sono 108 e rappresentano la quasi totalità della produzione di Timorasso, che conta circa un milione di bottiglie totali.
Ma nulla sarebbe accaduto se non fosse stato per l’intuizione, alla fine degli anni 80, di Walter Massa. Perché il Timorasso è un vitigno autoctono coltivato nel Tortonese sin dal Medioevo, ma dopo la Seconda Guerra Mondiale il suo declino è stato inesorabile. Massa ne inizia il recupero e fa uscire, a cavallo tra 80 e 90, la prima bottiglia di Timorasso che accende i riflettori sulla denominazione.
Il successo è esponenziale, a Massa iniziano ad unirsi altri produttori della zona come Andrea Mutti e Paolo Poggio, al nome del vitigno si affianca l’antico appellativo della città di Tortona, Derthona, mentre è del 2011 la prima sottozona, “Terre di Libarna” in Val Borbera, dove i vigneti sono coltivati tra i 400 e i 600 metri di altitudine e producono anche un’interessante versione spumantizzata.
Il vino
Ma cosa significa un vitigno a bacca bianca che si comporta nel calice come un rosso?
In primis, uno spettro organolettico ampio e profondo, con sentori che vanno dai fiori più carnosi agli agrumi, su un tessuto di grande mineralità che rende il sorso mai stucchevole, anche dopo anni di bottiglia e con valori alcolici importanti. Il corpo è di grande spessore e la persistenza infinita, tanto da far sospettare spesso un legno che non c’è: nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, il Timorasso fa solo acciaio.
Un bianco pensato per lunghe evoluzioni, quindi, capace di sostenere abbinamenti inconsueti e arditi.
La degustazione
L’eccezionale capacità di evoluzione del Timorasso è diventata tangibile durante una degustazione del cru Montino de La Colombera, cantina nella frazione tortonese di Vho. Elisa Semino, enologa, con il padre Piercarlo e il fratello Lorenzo è stata tra le prime produttrici a credere nella rivoluzione di Walter Massa e a scommettere sulle potenzialità di questa uva sorprendente.
Pronto per la prima volta nel 2006, il Montino è il vino più premiato dell’azienda e, degustato in versione magnum, esprime potenzialità evolutive notevoli. Giallo dorato intenso, presenta nei primi anni profumi fruttati, di pesca, e floreali di fiori di acacia, biancospino, insieme al miele. Con l’affinamento affiorano note di idrocarburo e minerale, che si fanno definite, intense, balsamiche negli anni.
Quanti? “Nella mia esperienza, il Timorasso raggiunge il suo top dopo dieci anni dalla vendemmia”, spiega Elisa Semino.
E in effetti l’annata 2013, la prima degustata, nonostante un naso intenso e complesso “da Riesling”, come molti dicono, ha ancora una freschezza intatta, che la fa sembrare solo una sorella di qualche anno maggiore della 2023, la più recente, con la quale terminiamo l’assaggio. Alla cieca, impossibile dire che sono trascorsi dieci anni.
Infine, una sorpresa per il prossimo Vinitaly: La Colombera presenterà un secondo cru, il SantaCroce, vigneto che sorge a Sarezzano su un’antica cava di calce, su terreni bianchi di carbonati e calcare.
a cura di Barbara Sgarzi
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