Dalle colline di Cesena si vede il mare. Ed è proprio qui, in un luogo ricco di storia, che lo chef torinese Ivan Milani ha scelto di lavorare.
La location è unica: si chiama Villa Monty Banks e nasce nel 1939 come casa di villeggiatura voluta da Monty Banks, oggi quasi sconosciuta icona del cinema muto, che dopo aver fatto fortuna oltre oceano decise di tornare in Romagna e costruirvi un “rifugio” personale.
Monty Banks alias Mario Bianchi (che proprio qui voleva realizzare anche degli studios), era un attore, regista e ballerino di Cesena che a fine Ottocento emigrò giovanissimo negli Stati Uniti dove non solo divenne un brillante attore, ma fu anche regista di numerosi film tra quel Ciao Amici! del 1941 che aveva come attori Stan Laurel e Oliver Hardy.
Fortemente legato alla sua terra d’origine, si impegnò ad aiutare i bambini bisognosi del luogo supportando le attività di assistenza di don Dino Cedioli, direttore dell’Istituto medico psico-pedagogico Pio XII sorto proprio vicino alla sua dimora che all’epoca si chiamava “Villa Belvedere” per la posizione panoramica del luogo.
Ivan Milani
Insomma, su questa collina di pace e bellezza (la villa fu costruita sotto la guida dell’architetto Gualtiero Pontoni, con influenze britanniche e uno stile inconsueto sia per il territorio romagnolo che per l’architettura italiana dell’epoca), Ivan Milani ha deciso di fermarsi e ripartire con un progetto di ristorazione che parla di territorio e stagionalità, ma che affonda le radici nella sua personale cultura di chef. Classe 1971, Milani si avvicina alla cucina da autodidatta dopo un percorso che dalla gestione di sale cinematografiche l’ha portato a rilevare nel 1997 lo storico Caffè Elena di piazza Vittorio a Torino trasformandolo nel primo wine bar di livello in città.
Dopo l’apertura di un ristorante in cui si occupava della sala, Milani si avvicina al mondo della cucina con la fermezza e la determinazione di chi vuole imparare a tutti i costi. E ci riesce, guidando il San Quintino Resort di Busca (Cn), Piano 35 a Torino e il Pont de Ferr a Milano.
L’arrivo in Romagna è folgorante, in primis, per la qualità della vita e la bellezza dei luoghi. La scorsa estate gestisce la cucina del Bandito di Cervia proponendo in spiaggia una cucina colta e a filiera corta, con il nuovo anno consolida la sua permanenza e approda a Villa Monty Banks per quella che ha tutte le carte per essere il suo place to be.
Villa Monty Banks, l’agriturismo
Iniziamo da qui: Monty Banks non è soltanto un relais con piscina e una cucina di alto livello, ma è anche, o forse prima di tutto, una vera azienda agricola estesa su una superficie di 20 ettari complessivi tra le colline dell’entroterra romagnolo. Un progetto voluto da Erika Galbucci e Michele Manuzzi che ha nei poderi di Carpineta e Centenara il luogo vocato alla coltivazione di uve Sangiovese e Trebbiano, da cui nascono i vini Sceriffo, Grande Banks e 18/07 (Metodo Classico Trebbiano), mentre intorno alla villa ci sono gli uliveti con piante centenarie (da cui si ottiene l’olio extravergine di oliva Don Dino di varietà Leccino), gli alberi da frutta e l’orto.
Dice lo chef: «Siamo a tutti gli effetti un agriturismo perché produciamo di tutto: vino, olio, frutta e verdura, coltiviamo il grano Senatore Cappelli con cui realizziamo il pane e, attraverso la soccida, alleviamo animali di cui seguiamo l’alimentazione, la macellazione e la produzione di carni o insaccati».
La Romagna e i suoi prodotti
«Questa regione mi sta dando tantissimo: il riassunto può essere una qualità della vita straordinaria sotto tutti i punti di vista, dai rapporti umani con le persone ai servizi efficienti. E poi mi sta facendo conoscere prodotti pazzeschi: io non sono romagnolo, la cucina che stiamo realizzando non è romagnola, ma parta tanto di Romagna», spiega lo chef. A cominciare dalla scelta radicale di utilizzare quasi esclusivamente prodotti locali che provengano dal Mare Adriatico o dalle colline intorno alla villa, ma nel ristorante c’è anche il progetto di lavorare su una carta dei vini che abbia un’impronta romagnolo centrica, il tutto per valorizzazione il territorio.
Aggiunge Milani: «Il nostro indirizzo corrisponde a quello di una città, ma siamo in campagna seppur a cinque minuti di auto dal centro. Abbiamo il privilegio di avere un orto e tantissimo spazio a disposizione per sperimentare. Stiamo collaborando con Alessio Gennari, che ha un’azienda vicino a Parma e che segue come consulente diverse realtà (anche la tenuta di Carlo Cracco, ndr). È con lui che abbiamo impostato il nostro orto. Abbiamo messo di tutto: dalle patate alle erbe aromatiche, seguiamo la stagionalità e lavoriamo anche su realtà locali. Con Alessio stiamo utilizzando anche semi e bulbi asiatici che ci consentono di coltivare qui alcune tipologie di prodotti diversi».
Prodotti diversi, come nel caso di quella cima di rapa portata in America dalla Puglia a inizio ‘900 da immigrati locali. A differenza di quelle italiane la varietà arrivata in Usa non ha subito innesti e variazioni e a Villa Monty Banks oggi la stanno coltivando con un risultato di un prodotto che sembra selvatico e presenta gusti più intensi. E poi ci sono il pesce e le carni: «Abbiamo deciso di lavorare con il pescato dell’Adriatico per l’80 per cento e comunque non acquistiamo nulla che non sia del nostro Mediterraneo. Per quanto riguarda invece gli animali da cortile e i volatili», racconta Milani, «ci rivolgiamo ad Alberto Pelloni: vicino a Ravenna alleva conigli, polli, faraone, piccioni di assoluto livello, tutti animali liberi con alimentazioni naturali. Si tratta di carni qualitativamente pazzesche che non avevo mai trovato prima. Pelloni lavora in maniera naturale e ti porta solo quello che ha. Qui ho il vantaggio di potermi permettere di decidere che se non c’è prodotto non lo uso. Prendiamo invece la mora romagnola e l’agnello da contadini che lavorano per noi e l’unica eccezione, nel nostro menu, è il bovino di Chianina che acquistiamo da Fracassi».
Il menu
Il Menu di Villa Monty Banks racconta la storia umana e professionale di Ivan Milani.
Afferma lo chef: «Ho carta bianca in cucina, sto facendo ciò che voglio e riesco a trasmettere sia l’amore per il mare che la passione per il pesce, per la carne, per il mondo vegetale. Già quando ero a Torino mi sono appassionato di foraging, lavoro con i fermentati, e ho portato con me un pezzo di “piemontesità” con il vitello tonnato e tanto quinto quarto. Ci sono poi i plin realizzati non in maniera tradizionale: attualmente con agnello, caffè e carciofi».
Cuore a cuore è un piatto che mette insieme tante delle idee su cui la cucina sta lavorando: il tema del recupero e il riutilizzo completo dell’animale. Di nuovo Milani: «Ci va rispetto per la vita: gli animali vanno allevati in un certo modo e quando ne sacrifichi uno devi cercare di utilizzare tutto. Un pezzo di carne come il cuore è poco usato ma va valorizzato. In questo piatto si vede anche il mio lavoro sui fermentati perché il cuore crudo viene marinato 24 ore nello shijo-koji e poi tagliato sottile all’affettatrice. Qui il cuore assume due forme: una parte è appunto marinata, l’altra è trattata come bottarga e, dopo essere seccata per un paio di mesi, viene grattugiata sopra».
Tra i piatti (già) cult della cucina anche quelli in cui carne e pesce sono serviti insieme: «È un’idea di abbinamento che mi piace: mettere insieme due proteine animali, una di mare e una terra, le rende complementari come nel caso del Midollo e ricci di mare che sembra piatto di terra, ma quando lo mangi ti rendi conto che il midollo è un supporto grasso per il riccio e in bocca ti esplode il mare».
La carta di Villa Monty Banks è un gioco di contrasti che si dipana tra menu degustazione e piatti simbolo come Il tempo delle uova d’oro, il Coniglio di Pelloni e la mazzancolla dell’Adriatico, i Cappelletti di sqacquerone, limone fermentato e canocchie. Ancora il Piccione arrostito in due servizi, lischi e rapa rossa.
Il team
E come sempre la storia di un luogo è fatta anche dalle persone.
E le persone che gravitano intorno a Ivan Milani hanno una storia speciale. La brigata di cucina è infatti composta da un team che lavora insieme da anni e che segue lo chef nei suoi spostamenti. Sono tutti toscani: Alberto Pinelli, 24 anni; Fabio Picchi, 24 anni; Carlotta Goretti, 21 anni, la pasticcera. «Carlotta e Alberto erano con me già a Milano al Pont de Ferr. Poi due anni fa al gruppo si è aggiunto Fabio che era compagno di Alberto all’alberghiero. Abbiamo lavorato tutti insieme al Bandito e portato avanti delle consulenze nel periodo della pandemia». Conclude Milani: « Li ho voluti con me perché sono preziosi e forse sono ciò di cui sono più orgoglioso. Si tratta di un gruppo coeso, unito e questo ci ha permesso non solo di lavorare in questi due anni difficilissimi, ma anche di arrivare qui il 10 gennaio e aprire le porte del ristorante il 20 dello stesso mese. Senza un gruppo affiatato come questo non sarebbe stato possibile».
a cura di Sarah Scaparone
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